L'ultimo miglio - Si è evoluto dalla vecchia rete Sip a quella attuale di Telecom, ma ora il doppino mostra i limiti. Il futuro? Si chiama Ngn.
La rete cambia con la banda
DI GIUSEPPE CARAVITA
«Mamma, stanno arrivando quelli della Sip». Quante volte, negli anni Cinquanta e Sessanta, ragazzini in calzoni corti sono corsi per le scale a osservare, curiosi, quei signori in tuta blu con grosse bobine di fili giallo-azzurri arrotolati a spirale a due a due. Li spiavano mentre ne infilavano con cura i capi nei condotti del ballatoio, bestemmiavano per qualche impiccio, si urlavano un ok, sistemavano la borchia a tre spine di casa, sollevavano alla fine sorridenti la cornetta con il classico tu-tuu.
Da allora l'ultimo miglio italiano non è poi tanto cambiato, almeno nella rete fissa. Il doppino telefonico (il doppio filo di rame), diviso in due segmenti, è ancora quello. Il primo pezzo, alcune centinaia di metri, collega gli attacchi di casa (25 milioni) a circa 200mila armadi sul marciapiede, in media a 400 utenze per armadio. Da qui parte un fascio più grosso, anch'esso a spirale, di oltre 800 doppini che va, sotterraneamente, fino alla più vicina centrale telefonica, dove il fascio viene separato, e i doppini riallacciati, uno per uno, alle macchine elettroniche della centrale. Fino a sette anni fa su questi doppini correva soltanto il segnale telefonico. Una leggera corrente elettrica modulata dalla voce immessa sulle due cornette. E la centrale si limitava a capire il numero della telefonata e poi a creare il corrispondente circuito, segnalando a tutte le altre centrali telefoniche che il signor A deve parlare con il signor B. Questo lavoro negli anni Trenta lo facevano schiere di telefoniste davanti a banchi di spinotti. Poi, dagli anni Cinquanta, macchine elettromeccaniche a rotori. Infine, dagli anni Ottanta in avanti, grandi computer dedicati capaci di digitalizzare la voce in pacchetti di bit e di smistarli nella rete. Il lavoro però era sempre lo stesso: si chiama tuttora commutazione telefonica.
Da sette anni a questa parte, però, l'ultimo miglio è completamente cambiato. L'inizio della trasformazione è cominciato con una specie di parassita del telefono: il modem, la chiamata non umana. Un apparecchio che usa il circuito telefonico per scambiare con una sua replica remota tanti piccoli e velocissimi impulsi sonori, che il ricevente converte in bit e invia a un computer, a sua volta connesso a una rete di computer, per esempio internet. Sette anni fa il parassita (modem) ha cominciato a prendere il sopravvento sull'ospite (telefono). È nato e si è diffuso in tutto il mondo il supermodem Adsl, capace di sparare sul doppino telefonico frequenze elettriche multiple, fino ai limiti di tenuta del filo di rame, e su ciascuna di esse inviare treni velocissimi di segnali compressi, ricomposti dall'Adsl ricevente. Milioni di bit al secondo, un ordine di grandezza in più sui modem (che lavoravano solo sull'unica frequenza telefonica).
È stato l'uovo di Colombo per i grandi gestori. Il loro incubo, da sempre, è stato quel doppino in rame nelle case, quell'ultimissimo miglio improbo da far passare nei condotti degli edifici, magari dopo anni di ristrutturazioni, cambiamenti e modifiche edilizie. La parte più costosa della rete, quei 50 milioni di fili dai 200mila armadi di strada. Niente cambiamenti, niente avveniristiche fibre ottiche. Un supermodem in centrale e uno a casa dell'utente e il gioco sembrava fatto. Ecco internet veloce, telefonia e video digitale. Il tutto senza scavare, riaprire condotti otturati, spendere giornate di lavoro e bestemmie per un filo.
L'Adsl però ha un grosso guaio intrinseco. Il supermodem stressa elettricamente il doppino fino ai suoi limiti. Vi pompa tutta l'energia che può, pur di moltiplicare le frequenze utili. Per sofisticato che sia (oggi siamo all'Adsl 2+, capace di venti megabit al secondo sul filo) non si scappa al problema. Su un fascio di ottocento doppini dalla centrale all'armadio se più di cinquecento lavorano al massimo elettromagnetico, questi cominciano a creare diafonia (crosstalk in inglese), si fanno interferenza a vicenda, si annullano l'un l'altro i delicati segnali. Più Adsl colleghi su quel fascio, quindi, più alta la probabilità di superare la soglia del rumore distruttivo. E oggi, in tutto il mondo, quella soglia è vicina. La rete italiana ha ancora due anni di margini prima del fatidico 60 per cento. Oltre il quale la corsa all'internet veloce si fermerà sulla rete fissa in rame, e non solo per Telecom Italia.
Che fare? Un ridisegno profondo della rete. Anzi, come da tempo spiegano i tecnologi, una Ngn (Next generation network): una rete fissa tutta internet (quindi più semplice) e la più veloce possibile. Ma anche la meno costosa possibile.
Due strade si aprono. E due scuole di pensiero (e di azione) si disputano nelle telecomunicazioni, oggi. Quelli che sostengono la fibra ottica fino all'utente e quelli che propendono per il Vdsl, il supermodem vicino alle case, al posto dei vecchi armadietti telefonici di strada, ormai quasi di buona memoria. Soltanto l'ultimissimo miglio, in questo secondo caso, resta lo stesso, in rame. Fino all'armadietto da marciapiede ci arriva la fibra, con i suoi gigabit al secondo che alimentano i supermodem, i Vdls che, su doppini più corti (e separati) possono sparare più dati (50 megabit al secondo bidirezionali) con meno energia nel rame e quindi senza rischio ravvicinato di diafonia.
Vantaggi e svantaggi pratici dividono il campo dei sostenitori del tutto fibra dai fans del Vdsl. La prima, anche nella sua versione a minor costo (l'e-Pon, fibra ottica passiva Ethernet), assicura per alcuni decenni una rete che potrà salire di tono quasi a piacimento (le fibre possono portare a casa anche diversi gigabit al secondo). «In più l'e-Pon - spiega Mauro Fantin di Visionee, pioniere italiano in questo settore - non richiede centinaia di migliaia di armadietti di strada con dentro i modem (quindi da alimentare elettricamente, climatizzare, manutenere) ma solo dei tubetti, chiamati splitter, che diramano i flussi alle fibre, non più grandi di una sigaretta e che possono essere incollati sotto un tombino o in un pilone della luce». La fibra, però, ha un grosso svantaggio. Richiede la sostituzione dell'ultimissimo miglio. I lavori nelle case, nei condominii, l'incubo dei carrier. Mentre il Vdsl no. E poi, con una nuova tecnologia che si preannuncia, la Dsm, forse il supermodem supererà la barriera dei 50 megabit.
Oggi Telecom Italia, per la sua Ngn, sembra aver scelto la strada del Vdsl. Ha annunciato un piano da 10 miliardi di euro per i prossimi cinque anni per connettere 10 milioni di utenti in Vdsl a 50 megabit. Abbastanza anche per il video in alta definizione, oltre all'internet veloce e il resto. Arrivare con la fibra ai nuovi armadietti non sarà semplice, ma nemmeno improbo. In fondo si tratta di sostituire, nella maggioranza dei casi, grossi fasci di doppini con minuscole piattine ottiche, un percorso agevole.
Il problema semmai sarà di corazzare e climatizzare gli armadi, forse di farli accettare (non facile) dai condominii fin dentro i cortili, e di controllare la qualità dei doppini. Però l'ultimissimo miglio resterà quello di oggi. Almeno fino a tecnologia contraria.
giuseppe.caravita@ilsole24ore.com
da il Sole 24 Ore - 19/10/2006

Rispondi quotando
)?!
L'unica cosa dell'articolo che non mi piace e' che in questo "pionieristico" progetto di Telecom da 10 miliardi di euro, sono previsti "solo" 10 milioni di abitanti, in pratica quelli che gia' oggi possono accedere alle offerte in SA.. Poi come facevi notare c'e' la questione degli armadietti ridotti piuttosto "male"
VVoVe: (sempre in una struttura FTTC). 