Parlava Peppino Impastato. Faceva nomi e cognomi. Da palchi improvvisati, dalle colonne di piccoli giornali, dai microfoni di Radio Aut denunciava quotidianamente gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini e le complicità dei politici "amici".
La voce di Peppino. Fu la sua voce a condannarlo a morte, in un paese muto e sordo diventò un'eco assordante. La fine di Peppino arrivò il 9 maggio del 1978, cinque giorni prima della sua elezione a consigliere comunale di Cinisi nelle liste di Democrazia proletaria. Aveva 30 anni Peppino, quando il tritolo di Cosa nostra ne dilaniò il corpo. Lo fecero a pezzi sui binari della ferrovia di Cinisi. Lo stordirono, colpendolo con una pietra, poi trasportarono il corpo sulle rotaie, lo adagiarono sull'esplosivo e lo fecero brillare.
Ci sono voluti 23 anni, però, perché Peppino Impastato diventasse un morto di mafia. È stata necessaria la tenacia di mamma Felicia Bartolotta e l'intensa attività del fratello Giovanni, perché al giovane fondatore di Radio Aut venisse restituito l'onore. Per lungo tempo, infatti, il ricordo è stato seppellito sotto una montagna di falsità, di depistaggi, di ricostruzioni di comodo, che indicarono in quella morte prima il fatale destino di un terrorista vittima del suo stesso esplosivo e, dopo la scoperta di una lettera scritta molti mesi prima, un suicida.
continua