Ieri, facendo mentalmente la lista degli invitati che stasera arriveranno scortati, perché costantemente sotto minaccia, mi sono reso conto di una cosa: l'orgoglio di mettere un sassolino nel muro della lotta antimafia, anche di fronte ai macigni di persone come queste, che mettono ogni giorno la loro vita sul piatto della bilancia, per servire la comunità, o anche solo per fare informazione.

Sicuramente sarà un percorso minato. Una minaccia, un anno fa, quando lo spettacolo era ancora in fase di progettazione, è già arrivata. Staremo a vedere ora, cosa succederà, perché come ha detto giustamente Giulio in una sua recente intervista «Do ut des non è un’inchiesta sulla mafia. Per quello ci sono i magistrati e i giudici. È un progetto nato da una constatazione. Finchè i mafiosi riescono a godere di questo rispetto, che poi è un timore reverenziale diluito, non si riuscirà a scardinare il sistema. Noi vogliamo smitizzarlo raccontando di riti di iniziazione, meccanismi e usanze che in qualsiasi altro posto nel mondo scatenerebbero l’ilarità della gente».

Prendere a sassate questo rispetto è da folli. Lo dicono le stesse persone che stasera saranno scortate. Ma come si vive senza un po' di follia?