Pagina 6 di 6 primaprima ... 4 5 6
Visualizzazione dei risultati da 51 a 52 su 52
  1. #51
    Originariamente inviato da Mick The Rabbit
    nel senso che è opinabile...affinché un ragionamento (ontologico o meno) possa essere ritenuto valido (ed il fatto che lo abbia matematicamente traslato, farebbe pensare a questa volontà), un suo assioma dovrebbe essere un qualcosa di evidentemente vero e non di discutibile...
    la tenacia con cui gli esseri viventi rimangono attaccati alla vita e alla continuazione della specie potrebbe far legittimamente supporre che - al di la' di singole e personalissime considerazioni personali sul senso della vita umana - appena ci si sposta a un livello superiore a quello del singolo individuo (madre natura, ad esempio) l'esistenza e' qualcosa di positivo.

    se madre natura tanto vuole che la vita continui, l'esistenza e' meglio della non esistenza.

    alla fine pero' rimane che godel non ha lasciato molte spiegazioni su cosa sia poi da intendersi per proprieta' positiva

    alla fine la si potrebbe anche intendere con "l'esistenza necessaria di una cosa positiva e' positiva. quindi: se parlo di una cosa che ha tutte le proprieta' positive, la sua esistenza sarebbe senza dubbio una cosa positiva. percio' la sua esistenza necessaria non potrebbe che essere positiva"

    messa cosi' si capisce un po' di piu', ma suona un po' come circolare. come del resto lo e' quasi ogni dimostrazione dell'esistenza di dio.

  2. #52


    Tunnel di luce, capacità di osservare e di sentire quello che accade attorno al proprio corpo ...cosa accade nelle cosiddette "esperienze pre-mortem"? Sono illusioni o prove che "qualcosa" sopravvive alla crisi della Morte?

    IL MISTERO DELLE ESPERIENZE PRE-MORTEM E la MENTE NON -LOCALIZZATA
    di Francesco Lamendola

    «Nella sala operatoria tutto era filato liscio fino alle ultime fasi dell'operazione. Poi era successo qualcosa. Mentre il chirurgo suturava l'incisione, il cuore di Sarah cessò di battere. Una reazione all'anestetico? Un'alterazione del sangue provocata dall'elettrolisi e sfuggita ai controlli? Una conseguenza di un'affezione cardiaca subclinica? Il monitor cardiaco rivelò improvvisamente una fibrillazione ventricolare, una tumultuosa, caotica tempesta elettrica nel cuore, che ne impedisce pulsazioni efficaci. Ma l'emergenza cessò nell'arco di un minuto, perché tanto bastò all'anestesista per defibrillarla con l'apparecchiatura sempre pronta allo scopo, in sala operatoria.
    Eppure quell'esperienza sotto i ferri aveva lasciato a Sarah qualcosa di più del dolore al fianco dove le era stata asportata la cistifellea piena di calcoli biliari e dei concentrici anelli rossastri sul suo petto, provocati dall'azione degli elettrodi del defibrillatore; Sarah aveva qualcos'altro che sbalordì non solo lei, ma anche il resto dell'équipe della sala operatoria: un ricordo chiaro e dettagliato della febbrile conversazione fra i chirurghi e le infermiere durante il suo arresto cardiaco, la disposizione della sala operatoria, le annotazioni scribacchiate sulla tabella del reparto di chirurgia nella sala esterna, il colore delle lenzuola che coprivano il tavolo operatorio, la pettinatura della capoinfermiera, i nomi dei chirurghi che nella loro saletta in fondo al corridoio aspettavano la conclusione del suo caso e perfino il particolare bizzarro che quel giorno il suo anestesista portava i calzini spaiati. Sapeva tutto questo benché durante l'operazione e l'arresto cardiaco fosse rimasta completamente anestetizzata e priva di conoscenza.
    Ma quello che rendeva ancora più portentosa la sua visione era il fatto che fosse cieca dalla nascita.»

    Dunque, una persona "cieca dalla nascita" e, per di più, "in stato di anestesia totale" e di "arresto cardiaco" vede, ripetiamo: "vede" (con quali occhi?) non solo tutti i particolari di ciò che avviene intorno a lei, ed ascolta i discorsi delle persone presente; ma vede e sente anche quello che accade in un'altra stanza, inoltre osserva particolari (come i calzini dell'anestesista) che, dalla sua posizione sul tavolo operatorio, non potrebbe in nessun caso vedere, neanche se non fosse cieca e se non fosse in quelle condizioni fisiche.

    Questa è una delle molte testimonianze che fanno supporre l'esistenza di una "mente non localizzata", capace di vedere, sentire e capire in condizioni di totale separazione dal corpo fisico.
    Ma dire che esiste una mente non localizzata equivale a dire che esiste un'"anima" - parola da secoli bandita dal linguaggio scientifico, in ossequio al materialismo imperante dopo Cartesio e Newton - ossia una entità incorporea che conserva le facoltà del pensiero, della percezione, della memoria e dell'immaginazione.

    Un dogma della scienza occidentale "moderna" (quella affermatasi in Europa, appunto, la con la cosiddetta Rivoluzione scientifica del XVII secolo) è che qualcosa di immateriale, se pure esiste, non può assolutamente influire su qualcosa di materiale. Ma si tratta, come per tutti i dogmi di tutte le religioni (e di tutte le scienze, a cominciare dalla matematica) di un assunto non dimostrato e non dimostrabile: qualcosa che dovrebbe reggere tutto il resto, ma che non è oggetto di verifica né di possibile "falsificazione".
    Così si esprime in proposito il filosofo John Beloff (4):
    «In pratica... Cartesio e i suoi seguaci avevano semplicemente fatto proprio un principio della filosofia scolastica secondo cui un effetto deve avere la stessa natura della sua causa. Ma non c'è nessun motivo logico per cui questo debba essere necessariamente vero. Non c'è niente di contraddittorio nel supporre che un'entità immateriale, se tale è la mente, non possa produrre effetti fisici... L'idea è tuttora sostenuta da un così gran numero di filosofi moderni che la situazione presenta aspetti assurdi o incoerenti... essa non ha nessun fondamento. È perfettamente giustificato insistere che mente e materia devono avere "qualcosa in comune", ma questo qualcosa è precisamente il potere d'influenzarsi a vicenda; non è necessario niente di più.»

    Certo, la maggioranza dei filosofi contemporanei (ad esempio, Umberto Galimberti) sostengono che la mente non è affatto "anima", ma "corpo", ossia una funzione neuronale del cervello. Partendo da un pregiudizio materialistico, si rifiutano di ammettere che vi sia qualcosa al di fuori del corpo, quindi finiscono per trovare soltanto quel che ammettevano fin dall'inizio non come esistente, ma come "possibile": tipico esempio di pensiero deduttivistico che si avvolge su se stesso.
    Questa opinione si è talmente diffusa, negli ultimi tre secoli, che revocarla in dubbio avrebbe tutto il sapore di una eresia; e non si può dire che il coraggio intellettuale sia una delle qualità più diffuse fra i pensatori moderni.
    Come scriveva acutamente Lin Yutang in un testo che meriterebbe di essere riletto, "Importanza di vivere" (5):
    «Sembra che il coraggio sia la più rara di tutte le virtù di un filosofo moderno".»

    Come ha scritto il neurofisiologo e premio Nobel, sir John Eccles (8):
    «Nella nostra epoca l'uomo ha perso ideologicamente la strada... La scienza si è spinta troppo oltre nel distruggere la fede dell'uomo nella propria grandezza spirituale... e gli ha istillato la convinzione di essere semplicemente un insignificante animale, che si è evoluto per caso e necessità in un altrettanto insignificante pianeta, sperduto nella grande immensità del cosmo... Noi dobbiamo renderci conto dei grandi misteri della struttura materiale e del funzionamento dei nostri cervelli, della relazione fra cervello e mente e della nostra immaginazione creativa.»

    Forse è tempo, per l'uomo contemporaneo, di ritrovare la strada smarrita e di recuperare, insieme al senso della propria dignità e del proprio significato, la fierezza di essere parte non disprezzabile di un grande disegno cosmico e la gioia di potervi contribuire liberamente, mettendosi in gioco con generosità e accettando le sfide della vita con coerenza e, se necessario, con disponibilità al sacrificio.
    Forse, il mondo grigio e scialbo in cui ci troviamo così spesso relegati è proprio quello della nostra piattezza interiore, del nostro vizio di nuotare in acque basse e fangose, quando avremmo un mare limpido e meraviglioso a portata di mano. Forse dovremmo lasciare la buia cantina maleodorante in cui ci siamo lasciati rinchiudere così a lungo, e riprendere possesso del luminoso palazzo e del verdeggiante giardino che ci sono stati destinati fin dall'inizio, e che sono una nostra inalienabile eredità.

    Note:
    1. Tr. it. Milano, Sperling & Kupfer, 1997, pp. 17-18.
    2. Tr. it. Milano, SIAD Edizioni, 1979, p. 188.
    3. Op. cit., p. 2.
    4. "J.B. Rhine on the nature of psi", in "J.B. Rhine: On the Frontiers of Science", a cura di R. K. Rao, Macfarland, Jefferson, 1982, pp. 97-110.
    5. Tr.it. Milano, Bompiani, 1941, pp. 3-4.
    6. Op. cit., p. 3.
    7. "Vita dopo la morte?", tr. it. Milano, CDE, s. d.
    8. In "The Human Psyches", Springer International, New York, 1980, p. 25


Permessi di invio

  • Non puoi inserire discussioni
  • Non puoi inserire repliche
  • Non puoi inserire allegati
  • Non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
Powered by vBulletin® Version 4.2.1
Copyright © 2025 vBulletin Solutions, Inc. All rights reserved.