Originariamente inviato da MasterLibe
Ti faccio un esempio: la settimana scorsa al solito supermercato ho trovato scritto sul cartello del banco delle arance "Italia" (di questa stagione vendono arance italiane). Uno di quei motivi per cui viene scritta quella provenienza è che dovrebbe essere garanzia di qualità, soprattutto se la provenienza è "Italia" (in questo, la politica dei supermercati è del tutto simile alle politiche delle denominazioni e delle etichettature). Peccato che pur arrivando dall'Italia, la qualità di quelle arance era di molto più bassa di altre arance di provenienza italiana.

Altri esempi li si trovano agli scaffali dei vini sempre dei supermercati: ci sono un sacco di vini etichettati DOC che sono peggio della sciacquatura di piedi. L'etichetta non è garanzia di qualità.

Se qualcuno vuole vendere col nome di parmesan una schifezza, sarà poi il mercato a rendersi conto che quel nome non c'entra con la qualità millantata. Se, invece, qualcuno vende col nome di parmesan un formaggio indistinguibile da un parmigiano reggiano garantito... be' se la qualità è la stessa non vedo perché il nome dovrebbe fare la differenza. Posto che un nome garantito permette di vendere a un prezzo più alto.

La questione, invece, delle sofisticazioni e delle adulterazioni è diversa: l'unico obiettivo che dovrebbe essere perseguito è la salute dei consumatori. Lo zucchero nel vino non dovrebbe essere tema di spreco di tempo per i NAS, per la solita storia che se abbassa la qualità, sarà il mercato a rendersene conto, ma se non abbassa la qualità è come spendere 500 euro per un pezzo di stoffa solo per il nome stampato sull'etichetta. Se, invece, può causare problemi di salute, allora è qui che si deve intervenire.

In conclusione, non è un'etichetta che mi deve dire cosa mi piace o cosa no, sono io che lo stabilisco.
Economicamente è ineccepibile, ma c'è un errore: il consumatore americano si lascia fuorviare dal marketing e non distingue il vero parmigiano da quello tarocco (talvolta pure agli italiani, ho visto mangiare schifezze, non essendo abituati alla qualità), quindi non si può sempre garantire al consumatore ciò che vuole, quando lui stesso non sa cosa è meglio o peggio.
inoltre non è il prodotto dall'origine certa che costa di più, sono le imitazioni che costano meno perchè, pur essendo salutari e magari gustose, non sono "ontologicamente" quel prodotto specifico, vuoi per una serie di finezze, che però lo caratterizzano.
se poi mi dici che dei marchi doc & co si è abusato, questa è una devianza che non inficia l'idea di marchio collettivo o denominazione d'origine. nulla vieta peraltro che il vino sudafricano sia ottimo, per il clima temperato, ma chiamarlo "brunello", pur se la composizione è quanto di più simile possa esserci, converrai che non è economicamente corretto.

infine, mai detto che l'etichetta sia garanzia di qualità, semmai l'ordine dei fattori è l'inverso.