Il nostro Ufficio Personale operò alacremente, nonostante le gravi difficoltà di ogni ordine, e si è andato via via perfezionando; assistenti sociali operano fuori della fabbrica, altre nell’interno, per facilitare gli spostamenti. Il lavoro di questi uffici è arduo, spesso incompreso; ma questi organi diventano a poco a poco più sensibili e più esatti onde le ingiustizie e gli errori purtroppo frequenti nel passato, è giusto il riconoscerlo, vanno man mano riducendosi. Non cesseremo ogni sforzo per dare a questo così delicato meccanismo uomini, autorità e mezzi crescenti.
E voglio anche ricordare come in questa fabbrica, in questi anni, non abbiamo mai chiesto a nessuno a quale fede religiosa crèdesse, in quale partito militasse o ancora da quale regione d’Italia egli e la sua famiglia provenisse.
Nel corso del ‘54 si è dato mano dopo anni di esperimenti alla produzione in grande serie della Lexikon elettrica.
La nuova produzione che non può essere ancora attrezzata con i metodi più completa è stata accolta con favore dal pubblico e la vendita, in arretrato sulla produzione, comincia soltanto oggi ad essere sensibile.
Produzione e vendita saranno equilibrate soltanto nei prossimi mesi. Le macchine elettriche sono destinate prevalentemente alla esportazione poiché il mercato italiano assorbirà soltanto una su quattro delle macchine che produrremo.
Quando la ditta - come in ogni altra industria meccanica - assume un operaio deve iscrivere sul libro dei suoi conti un investimento molto elevato.
Non c’è dunque da meravigliarsi se avendo proceduto durante lo scorso anno a massicce assunzioni abbiamo dovuto affrontare il ricorso ad altrettanto ingenti prestiti esterni. Noi non potremo mantenere questo ritmo di assunzioni senza pericoli per la nostra economia ed è questa la ragione che è stata ordinata una sosta in tutti gli investimenti tranne quelli direttamente produttivi.
Nel ‘56 le assunzioni, prenderanno dunque un ritmo minore; esse saranno tuttavia concentrate nello stabilimento di Ivrea, salvo taluni complementi resi necessari a Pozzuoli per il trasferimento ivi ancora in corso di effettuazione della Elettrosumma e delle macchine a carrello della classe Divisumma.
Oggi le persone iscritte nei nostri ruoli in Italia, escluso beninteso gli agenti e i rappresentanti, sono 11.353: comprendendo i dipendenti delle Società Alleate si raggiunge la cifra di 16.600.
Questo numero eguaglia gli effettivi di due divisioni militari, ma essi operano per fortuna per degli ideali di pace e di lavoro. In seguito al recente rinnovo del piano Fanfani sono previste costruzioni di case per lavoratori per 325 milioni di lire. Potremo così costruire qui in Ivrea, in un periodo relativamente breve, oltre 150 alloggi. Di 48 di essi si sono già cominciati i lavori e si prevede che possono essere terminati in meno di 10 mesi, permettendoci finalmente di affrontare i casi più gravi. Anche il progetto, patrocinato dal Consiglio di Gestione, delle case a riscatto procede bene e questo tipo di programma edilizio è destinato ad avere altri e più notevoli sviluppi.
Quando il punto critico cui acceniiavo dianzi sarà superato saranno ripresi i lavori della mensa e iniziati quelli per una nuova infermeria, ormai indispensabile. Sarà d’uopo inoltre migliorare taluni servizi culturali e sociali attualmente inadatti e insufficienti. Queste costruzioni faranno parte di un complesso più importante chiamato « fascia dei servizi sociali » destinata a sorgere tra la Fonderia e le due case Gallo che, come sapete, saranno abbattute per dar nuovo spazio e respiro innanzi al corpo principale della fabbrica.
Questo progetto che onorerà voi tutti, la nostra città, la nostra fabbrica fu a suo tempo presentato al Consiglio di Gestione.
Non dobbiamo dimenticare che questo gruppo di costruzioni sociali, al pari della nuova mensa e dopomensa, saranno costruite esclusivamente dai vostri compagni di lavoro dei cantieri. Nel programma predisposto questi lavori avranno la funzione di equilibrare le costruzioni industriali e quelle di case per abitazioni e permetteranno perciò anche nei prossimi anni di mantenere in piena e utile occupazione oltre cento lavoratori, difficilmente trasferibili alle lavorazioni meccaniche.
E’ noto del resto che il Cantiere nacque all’origine come un positivo e apprezzabile elemento della lotta che conduciamo in tutto il Canavese contro il grave preoccupante fenomeno della disoccupazione il quale purtroppo, nonostante i nostri sforzi, diminuisce ancora con troppa lentezza. Organizzando le biblioteche, le borse di studio e i corsi di molte nature in una misura che nessuna fabbrica ha mai operato abbiamo voluto indicare la nostra fede nella virtù liberatrice della cultura, affinché i lavoratori, ancora troppo sacrificati da mille difficoltà, superassero giorno per giorno una inferiorità di cui è colpevole la società italiana.
Noi siamo così sulla via di aiutarvi a cercare e trovare insieme agli strumenti più adeguati e più moderni atti a difendere il vostro fisico, gli alimenti spirituali che è doveroso fornire agli uomini al fine di vivificare il loro spirito e di scoprire la nobiltà del loro cuore, poiché la miseria dell’uomo è più profonda finché non ha rivelato a se stesso la vera coscienza interiore: quella della sua anima. Anche gli istruttori e i maestri e i giovani del nostro Centro Formazione Meccanici sanno che importa costruire degli uomini, forgiare dei caratteri senza i quali è vana e istruzione e cultura, perchè il volto degli uomini onesti è così importante come il nodo divino che annoda tutte le cose del mondo.
Sia ben chiaro che è lungi da noi il pensiero che queste mete importanti non sostituiscono né il pane, né il vino, né il combustibile e non ci sottraggono quindi al dovere di lottare strenuamente alla ricerca di un livello salariale più alto, quello che darà finalmente la vera libertà che è data ad ognuno soltanto quando può spendere qualcosa di più del minimo di sussistenza vitale.
E questa duplice lotta nel campo materiale e nella sfera spirituale - per questa fabbrica che amiamo - è l’impegno più alto e la ragione stessa della mia vita. La luce della verità, usava dirmi mio Padre, risplende soltanto negli atti, non nelle parole.
Noi non,ci siamo perciò sottratti - insieme al Consiglio di Gestione - all’imperativo morale di provvedere in talune occasioni in difesa delle minoranze. Alludo alle 1539 famiglie che hanno avuto questa estate praticamente raddoppiati gli assegni familiari di loro competenza; queste famiglie hanno avuto in tal modo un beneficio di qualche rilievo; esso ha diminuito per talune di esse la dolorosa necessità di ricorrere all’ausilio del Fondo Domenico Burzio. A questo Fondo rimarrà sempre una insostituibile delicata e benemerita funzione; tuttavia crediamo che la giusta strada consista nell’eliminare via via alla radice le cause del bisogno: e su questa linea proseguiremo nei limiti delle possibilità, senza esitazioni.
In questi anni di vita il Consiglio di Gestione, pur avendo dei compiti ancora limitati, ha dato prova di senso di responsabilità e spirito di collaborazione, che noi riteniamo degni di nota e utili sotto ogni riguardo. Esso, sinceramente, cerca di rendere questa fabbrica, compatibilmente con le situazioni di fatto, un posto più dignitoso, più libero per vivere e per lavorare.
Ed è altrettanto importante adoperarsi per far sì che la potenza e il potere della fabbrica raggiunte in virtù della dinamica del mondo moderno, sia rivolto insieme ai fini del vostro benessere, al civile progresso dei luoghi ove siete nati e in cui vivete. Poiché a nessuno di noi deve sfuggire un solo istante che non è possibile creare un’isola di civiltà più elevata e trovarsi a noi tutt’intorno e ignoranza e miseria e disoccupazione.
Perciò io credo - anche - in una società rinnovata, che esalti e non opprima, che riconosca e non disprezzi, che accetti e non respinga l’ordine umano e divino che risplende nella verità, nell’arte, nella giustizia e sopra ogni altra cosa, nella tolleranza e nell’amore. Poiché sono stato con voi nella fabbrica, conosco la monotonia dei gesti ripetuti, la stanchezza dei lavori difficili, l’ansia di ritrovare nelle pause del lavoro la luce, il sole e poi a casa il sorriso di una donna e di un bimbo, il cuore di una madre.
Perciò sono stato io a lanciare l’idea di arrivare qui nella nostra fabbrica per primi a ridurre l’orario, a realizzare gradualmente ma decisamente la settimana di cinque giorni. Ci vollero più di quarant’anni di storia fatta di lavoro per giungere a questo punto: nessuno deve meravigliarsi se questo evento, in seguito alle circostanze e alle difficoltà che vi ho dianzi elencate, non si è realizzato con la precisione di un cronometro; e nella nostra storia tre mesi o sei non contano, purchè le conquiste siano vere, durature, frutto di meditate esperienze e di situazioni coerenti.
Ma per togliere ogni nube tra noi e soprattutto riaffermare una questione di principio posso oggi darvi un annuncio: ieri sera è stata raggiunta un’intesa tra la Direzione dello stabilimento di Agliè e quella Commissione Interna. In forza di questo accordo gli orari di Agliè saranno ridotti di un’ora e mezza ogni settimana a partire dal l marzo. Esso anticipa analoghi accordi che qui seguiranno, fermamente io credo, prima dell’estate.
Contemporaneamente i lavoratori di quella fabbrica per non essere danneggiati dalla riduzione d’orario riceveranno l’aumento necessario per riequilibrare il guadagno. Questo accordo pilota - è evidente - è stato reso possibile dalle dimensioni ridotte di quello stabilimento: ma esso vuole affermare senza alcun dubbio le più profonde esigenze di tutti i lavoratori.
Da molto tempo non prendevo la parola dinanzi a voi perché mi era sembrato «difficile» il farlo se non a fronte di motivi seri ed importanti. Né possa sembrarvi questo mancanza di considerazione o di riguardo: e nemmeno le malattie, le occupazioni e le preoccupazioni del mio lavoro giustificherebbero una così lunga assenza. Ma fin dal tempo che studiavo al Politecnico di Torino i mattoni rossi della fabbrica mi incutevano un timore e avevo paura del giudizio degli uomini che passavano lunghe ore alle macchine quando io invece disponevo liberamente del mio tempo. Ora che ho lavorato anch’io con voi tanti anni, non posso le stesso dimenticare e accettare le differenze sociali che come una situazione da riscattare, una pesante responsabilità densa di doveri.
Talvolta, quando sosto brevemente la sera e dai miei uffici vedo le finestre illuminate degli operai che fanno il doppio turno alle tornerie automatiche, mi vien voglia di sostare, di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza a quei lavoratori attaccati a quelle macchine che io conosco da tanti anni, quando nei primi tempi della mia carriera si discuteva con l’ing. Camillo se era meglio farle venire da Providence negli Stati Uniti o da Stuttgart in Germania, quando era capo reparto il vecchio Giovanni Rey.
E se adunque essi non mi vedono, mi sia consentito far sapere che come mio Padre vi ha amato, così anch’io ho osservato i suoi comandamenti. Ed anche oggi, nelle grandi decisioni della fabbrica, siamo costretti a ricorrere alla sua memoria, al suo insegnamento, alla sua saggezza perchè in ognuno di noi è fatale una domanda inquietante, un imperativo della coscienza: che cosa avrebbe suggerito in queste circostanze l’ing. Camillo?
Tutta la mia vita e la mia opera testimoniano anche - io lo spero - la fedeltà a un ammonimento severo che mio Padre quando incominciai il mio lavoro ebbe a farmi: «ricordati - mi disse - che la disoccupazione è la malattia mortale della società moderna; perciò ti affido una consegna: tu devi lottare con ogni mezzo affinché gli operai di questa fabbrica non abbiano da subire il tragico peso dell’ozio forzato, della miseria avvilente che si accompagna alla perdita del lavoro».
E il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva e non giovi a un nobile scopo. L’uomo primitivo era nudo sulla terra, tra i sassi, le foreste e gli acquitrini, senza utensili, senza macchine. Il lavoro solo ha trasformato il mondo e siamo alla vigilia di una trasformazione definitiva.
Anche quando posso sembrare lontano od assente il mio cuore è con voi e questo è il cifrario nascosto di una esperienza umana vissuta giorno per giorno.
La fabbrica è grande, i problemi incalzano dentro e di fuori, nei reparti più vicini e in quelli più lontani, negli uffici più disparati. E bisogna ogni giorno rifiutare la tentazione di risolvere personalmente un caso difficile, per meditare, invece, sulle cose che operano i cambiamenti, che perfezionano e ingrandiscono la nostra azione che portano innanzi dei metodi risolutivi.