Originariamente inviato da the_hi†cher

Pranzo di ferragosto
Opera prima di Gianni Di Gregorio, prodotta da Matteo Garrone, è anche questa una piccola storia di affetti e abbandoni in un microcosmo isolato fotografato nella giornata festiva per eccellenza, quel ferragosto che svuota le città e affolla le spiagge.
Di Gregorio scrive (poco a dir la verità, ma è il pregio di un film basato su un canovaccio e affidato quasi interamente all'improvvisazioni di interpreti quasi tutti dilettanti), dirige e interpreta, calandosi alla perfezione nel ruolo di un perdigiorno buono a nulla con il vizio dell'alcool che accudisce la anziana e nobile madre nel ricordo dei fasti che furono cercando di tenersi a galla in un mare di debiti. Proprio in cambio dell'estinzione di alcuni di questi accetta di prendersi cura per la giornata festiva della madre dell'amministratore in partenza per il mare, ma si ritrova suo malgrado ad ospitare anche la sorella di quest'ultima e la madre del medico di famiglia. La convivenza si rivela più complicata del previsto soprattutto per Gianni che si trova a dover fronteggiare le esigenze della "nuova famiglia", rivestendo più ruoli, dal genitore delle anziane donne, al cuoco, all'infermiere, all'intrattenitore.
Emerge sopra a tutto il bisogno di essere ancora considerati di qualche utilità anche da vecchi, di essere ancora desiderabili nonostante gli anni che passano, la necessità di trovare qualcuno che ascolti le storie di una giovinezza ormai sfiorita. Un film tenero e delicato, che strappa più di un sorriso e fa molto riflettere.

Direi anzi che si ride di gusto in più di una sequenza, soprattutto la madre di Gianni è straordinaria. E' un bel film, di quelli che ti fanno uscire col sorriso, condotto con grande leggerezza. E' anche un simpatico monumento all'indolenza tutta romana del protagonista, lo stesso Gianni di Gregorio, che a oltre 50 anni ha diretto il suo primo film (pur avendo lunga esperienza di cinema) e ha tirato fuori un gioiellino da un soggetto così minimale.

C'è molto di più, tra le righe.
C'è un affettuoso omaggio a quegli anziani che tutti vedono come un peso, sempre più inutili in una società che non ha tempo per loro e che li sopporta con fastidio.
Si dimentica troppo spesso che tutti, prima o dopo, si arriverà a quell'età in cui c'è un'immensa esperienza di vita e tante storie da raccontare, tanti ricordi da tirar fuori, tanta voglia di parlare, ma non c'è quasi nessuno che ascolta.
Ed è questa, credo, la tristezza più grande.

***1/2