Fin dalla laurea in comunicazione a Valentino Rossi si capiva che il problema più grosso degli atenei italiani, come avviene in altri paesi, è che i media si occupino di loro per potersi procacciare nuovi "clienti".
Che l'università della Sapienza inviti Schettino a tenere una "lectio magistralis" rientra in quest'onda di pensiero: se avessero invitato la massima autorità in materia, sconosciuta ai giornali, nessuno ne avrebbe parlato, e sapendo che i media sono come animali impanichiti che si dirigono verso la luce, sanno anche che è sufficiente accendere una pila, una lucetta qualsiasi, perché i giornali vi si buttino senza pensarci un attimo.
Di questa lezione sulla gestione del panico insomma, è facile che diversi giornali abbiano ripreso la notizia, cogliendo al volo l'implicita ironia dell'assistere a lezioni sulla gestione del panico da uno che ha abbandonato la nave senza pensarci su.
Tempo fa leggevo di un'iniziativa del Fatto Quotidiano per chiedere la grazia per Fabrizio Corona, che è vittima di un accumulo di pene carcerarie da vero record e che si trova a scontare tanti anni quanto un assassino, non avendo egli mai ammazzato nessuno. Viene da pensare al sistema carcerario, a quante persone sono vittime di ingiustizie carcerarie anche più gravi ma che non possono fare notizia.
A quanto pare tutti i discorsi di Grillo, discorsi molto importanti, che sono passati in secondo piano nel montare della merda elettorale, sono stati sepolti da una restaurazione continua del pensiero dominante, che più che pensiero forte è pensiero fisso. Nessuno ha mai creduto seriamente a una politica senza leader, a una politica dell'alternanza nei ruoli, infatti oggi, dai simpatizzanti 5stelle vedo scrivere formule come "i nostri ragazzi" il "nostro" Di Maio... Guardate cos'ha risposto la "nostra" Taverna. La logica del partito e della parrocchietta non si sconfigge iscrivendosi a un nuovo movimento di pensiero, ma pensando diversamente e la seconda cosa è di gran lunga più scomoda della prima.
Abbiamo bisogno di riferirci a nomi illustri, a gente di chiara fama. Non importa il motivo di questa fama, come è ben scritto nella canzone di Samuele Bersani "Chiedi un autografo all'assassino", come ho fatto anch'io in questo momento, riferendo non parole di amici del bar, ma il testo (in verità molto bello) di un cantante famoso. Perché lo facciamo? È sicuramente un modo per ottenere attenzione, tutti ci giriamo in direzione della luce. E i reality c'insegnano che una fama si può costruire a tavolino, chiedendo alla gente in anticipo chi sarà più famoso. Una volta stabilito che una persona è diventata personaggio, ci penseranno gli insetti necrofagi con le loro macchinette fotografiche, coi loro articoletti da spiaggia, con gli scatti rubati, gli amori proibiti, le scenate "in pubblico" a terminare il lavoro.
Vittorio Sgarbi è diventato celebre perché urlava. Dopo che lui ha urlato in tv, potevi sentire dire al mercato che Sgarbi "è un bravissimo critico d'arte" da una signora che non sapeva nulla né dell'arte né della critica.
Oggi ci stanno imponendo di discutere nei bar, nei luoghi di lavoro, nelle sale d'attesa, sul fatto che al senato ci vada gente nominata o no, pagata o no, immune o no. Ieri c'imponevano di discutere dello spread, domani ci imporranno di discutere dei matrimoni gay senza chiederci se non sia il caso di mettere invece in discussione il matrimonio, e noi saremo convinti che tutte queste cose siano urgenze che noi abbiamo avvertito e di cui abbiamo bisogno di parlare.
Parlare, appunto, perché in tutto questo abbiamo deciso di non decidere, ma di discutere su chi decida meglio, abbiamo deciso di non far nulla per cambiare noi stessi, ma di aspettare che arrivi qualcuno che cambi le cose. Brancoliamo nel buio e ci giriamo verso la luce, di tanto in tanto, senza riuscire a capire se sia una stella o sia una piletta, tranquillizzati dai nostri riflessi condizionati.