Il principio di buona fede e correttezza è immanente in ogni contratto, ed in genere tutela il contraente debole.
La risoluzione per inadempimento non è il recesso, che opera di diritto a prescindere da qualsiasi circostanza, ma è subordinata al verificarsi di una grave condizione, la più grave possibile per un contratto: l'inadempimento.
Se il disservizio viene sanato dopo un giorno dallo scadere del termine, e la parte non ha avuto gravi danni, non consentire la prosecuzione del contratto sarebbe certo espressione di scorrettezza; se il problema è risolto, il provider accetta di stornare i giorni di disservizio, non si vede quale vantaggio possa venire all'utente dal risolvere un contratto liberamente firmato (salvo che non sia l'ennesima volta che questo succede).
Il principio vale per tutti i contratti di durata; non si può ad esempio invocare la risoluzione del contratto di affitto se il conduttore (affittuario) paga la pigione con un giorno di ritardo (a meno che, ecc...)
Il recesso è automatico perchè svincolato dall'oggetto del contratto; la risoluzione dipende da una patologia che le parti, entrambe, hanno l'obbligo di contribuire a sanare.
Ci sono migliaia di pagine di contributi dottrinali sulla buona fede nelle varie fasi del contratto (1337, 1358 c.c. ecc...) e, proprio per la tutela del contraente debole, i giudici sono oggi molto sensibili all'argomento: il formalismo rigido danneggia sempre il più debole.
Ma sono soltanto questioni ipotetiche, perchè il ricorso al giudice è improbabile...