m'è piaciuto, e a proposito di alcune sbavature della sceneggiatura, cui riferisce il figaro, le riconduco alla poetica di pupi avati

le storie di pupi avati non sono storie raccontate come sono, ma come sono ricordate, avvolte in quella patina un pò sfocata del mito, del ricordo, come l'effetto flou in fotografia

comunque elegante anche nelle inquadrature, un film italiano intinto anche nella scuola francese, però meno intellettualistico

il primo dopoguerra è comunque facile per scriver belle storie, in quel momento di passaggio, tra le macerie, è più semplice disegnare personaggi carichi di poesia, tutti veri, perchè tutti già conosciuti davvero (almeno così sento da mio padre): il tipo che vive d'espedienti e faccia tosta, la donna che s'arrangia barattando l'unica cosa che ha in cambio di un piatto di pastasciutta, le zie bigotte, lo scemo che in fondo tanto scemo non è, e non ha paura delle bombe, ma della cattiveria altrui

il film è bello perchè è denso, pesca nei ricordi di un'intera nazione