Virus, quei 20 giorni di ritardo: così il governo è rimasto fermoIl
31 gennaio il governo Conte dichiara lo stato di emergenza per il coronavirus. Ma passano oltre 20 giorni prima dei provvedimenti su mascherine, ventilatori e medici
Sottovalutazione, sfortuna, eccessivo ottimismo. Solo quando sarà finita l'emergenza coronavirus arriverà il momento per definire, e valutare, i motivi che hanno prodotto il ritardo italiano nella lotta al Covid-19. Ma se si volge lo sguardo indietro in questo (intenso) mese di battaglie, quel che emerge è l'occasione persa da un Paese che si era accorto del pericolo, ma che non si è organizzato per evitare (o ritardare) il collasso del sistema sanitario.
Nonostante di tempo a disposizione.
Il
27 gennaio Giuseppe Conte va in televisione ad assicurare che l'Italia è "prontissima" a fronteggiare il virus. Ha già adottato "misure cautelative all’avanguardia" e tutti i "protocolli di prevenzione", tra cui il controllo della temperatura agli scali, la creazione di una task force e la sospensione di voli dalla Cina. Insomma, tutto tranquillo. La fiducia non crolla neppure tre giorni dopo, quando i media riportano il primo caso di Covid-19 in Italia. Gli infetti sono due turisti cinesi, subito isolati e ricoverati allo Spallanzani. Il governo però ne prende atto e, seguendo l’Oms, il 31 dicembre dichiara lo stato di emergenza per sei mesi "in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza" del coronavirus.
L'esecutivo appare dunque consapevole del pericolo. Altrimenti non avrebbe emesso una delibera per assegnare
poteri straordinari al capo della Protezione Civile per fronteggiare una situazione che "per intensità ed estensione, non è fronteggiatile con mezzi e poteri ordinari". Quel che non si capisce, però, è come sia possibile che il Paese si troverà ancora impreparato quando venti giorni dopo, il
19 febbraio, il "paziente 1" farà ingresso all’ospedale di Codogno. E per quale motivo il primo (vero) provvedimento della Protezione Civile per affrontare la pandemia arriverà solo il
25 febbraio,
quasi un mese dopo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale.
Non è un caso se Walter Ricciardi, esperto italiano dell’OMS e consigliere dell’esecutivo, ha dichiarato che le misure di contenimento le avrebbe "prese dieci giorni prima". L'inerzia iniziale, infatti, potrebbe aver favorito non solo la diffusione del virus (a Codogno Mattia non è stato trattato come paziente Covid a causa dei protocolli governativi). Ma potrebbe aver provocato l'incapacità del sistema sanitario di prepararsi alla pandemia. Mentre Zingaretti sorseggiava aperitivi e tutti gridavano al razzismo contro i cinesi, nessuno infatti si preoccupava di acquistare mascherine, ventilatori o a assumere altri medici.
"In Italia abbiamo circa
3 posti letto per mille abitanti, molti meno degli 8 che hanno in Germania e dei 4 della Cina: si poteva usare quel tempo per realizzarne altri. Non avrebbero risolto ogni problema, ma salvato alcune vite umane sì”, ha detto il dottor Giuseppe Fariselli a Business Insider. "Avremmo anche potuto usare quel tempo per informare correttamente i medici, proteggendoli con strumenti adatti ed evitando di lasciarli soli". Ma non è stato fatto.
A dimostrarlo ci sono i provvedimenti adottati dalle autorità. All’indomani dello stato di emergenza, infatti, il governo rimane silente dal punto di vista normativo fino al
23 febbraio quando, a crisi ormai avviata, dispone le prime zone rosse nel Lodigiano. Lo stesso sostanzialmente fa
Angelo Borrelli. Ad inizio febbraio istituisce il comitato scientifico, dispone il rientro degli studenti dalle aree a rischio, fa qualche nomina e altre questioni burocratiche. Poi più niente di sostanziale, nonostante lo "stato di emergenza". La musica cambia solo dopo la scoperta del "paziente 1". Il
21 febbraio Borrelli stanzia 4,5 milioni di euro per l'incremento di personale medico di "massimo di 77 unità". Ma per arrivare all'ordinanza che permetterà alla Protezione Civile di acquistare con "priorità assoluta rispetto ad ogni altro ordine" i dispositivi di protezione individuali (Dpi), occorre attendere addirittura il
25 febbraio. E serviranno altri 3 giorni per avere la stessa urgenza sulla "acquisizione degli strumenti e dei dispositivi di ventilazione invasivi e non invasivi" o per destinare le mascherine "in via prioritaria al personale sanitario". Non si poteva provvedere prima?
Sono infatti passati
oltre 20 giorni tra la dichiarazione dello stato di emergenza e le prime disposizioni su medici, mascherine e ventilatori. Inanto gli ospedali del Nord andavano in crisi e i Dpi diventavano introvabili o venivano bloccati alla frontiera. Lo stesso dicasi per i ventilatori e i posti in terapia intensiva. La domanda è: non sarebbe stato meglio organizzarsi in quei 20 giorni di buco, quando ancora gli altri Paesi non erano entrati nell'emergenza?