IL SENSO DELLA SATIRA
antica novella cinese
Un giorno Ping Hsiao si reco dal maestro Lao Tse. Lo trovò in giardino, assorto nella contemplazione della natura. Il maestro si accorse che il discepolo nascondeva una spada sotto le vesti, e gliene chiese il motivo.
«Sto andando nella capitale per uccidere Hua Wu, l'infame, abominevole, perfido ministro dell'Imperatore - spiegò Ping -. Pagherà il fio delle sue malefatte».
Il saggio Lao Tse non si scompose. «Molto bene - replicò -. Dopodiché ti sarà versato piombo bollente nell'ano, cera bollente nelle narici e olio bollente nelle orecchie, mentre un aguzzino farà stridere un gessetto su di una lavagna».
«Sono preparato alla morte. E perfino al gessetto», disse Ping.
«E come la mettiamo con i sette mesi di retta che ancora mi devi? Poi, ammesso e non concesso che tu riesca a immergere quella spada nel malvagio cuore di Hua, protetto, com'è noto, da guardie del corpo la cui circonferenza toracica equivale a quella della mia capanna, non saranno passati trenta secondi che l'imperatore avrà già nominato un ministro ancora più infame, abominevole e perfido di Hua».
«Non può esistere un essere più malvagio di Hua», replicò Ping.
«Non hai conosciuto la mia ex moglie, figliolo».
«Maestro, una donna, per quanto malvagia, non può diventare ministro».
«E' vero. Ma io ti stavo parlando della mia ex moglie - precisò Lao Tse -. Assomiglia a una donna come io assomiglio a un bufalo d'acqua. Ed è molto più nociva di Hua. Almeno lui non cucina».
«Maestro, questa è bieca satira misogina».
«Naturalmente, figlio mio. Siamo in Cina, il paese più misogino del mondo. Se vuoi della satira femminista vai a cercarla in ... a... oddìo, non mi viene in mente un paese in cui si faccia satira non maschilista. Rimanendo entro la nostra galassia, almeno».
Ping Hsiao era irrequieto. «Io non voglio la satira, di nessun genere. Voglio uccidere Hua Wu, l'infame, abominevole, perfido ministro dell'Imperatore e liberare il popolo dall'oppressione».
«Ragiona, Ping. Per te è più importante uccidere Hua, o rendere felice il popolo oppresso?»
«Rendere felice il popolo, certo. Togliere la vita a un essere umano, per quanto la definizione poco si addica a Hua, non mi dà alcun piacere».
«Ah no? A me ne darebbe eccome. Ma sbudellare quello stronzo di Hua come un coniglio e drappeggiargli le interiora intorno al collo è facile, riportare il sorriso sulle labbra dei contadini sfruttati no. Meglio così. Di solito sono sdentati come pettini usati. E voglio proprio vederli sorridere, quando saranno investiti dall'ondata di repressione che si scatenerà dopo l'omicidio del ministro!».
«A questo non avevo pensato, maestro».
«Stammi a sentire, Ping. C'è un solo modo per risolvere il problema Hua e rendere più sopportabile la dura vita del popolo. Ed è proprio la satira. Insomma, devi farlo ridere».
«Ma chi deve ridere, Hua o il popolo?»
Lao Tse non rispose, e si immerse nella contemplazione dei ciliegi in fiore.
«Maestro - insisté il discepolo -, chi devo fare ridere?»
Il suo interlocutore lo fissò con immutabile serenità: «Con sette mesi di retta ancora da pagare, ragazzo mio, non puoi pretendere che io scenda nel dettaglio. Ma ti elargisco un'altra perla di saggezza: mentre il saggio pensa, il mulo sciolto scappa».
«Dove vuoi arrivare, maestro?»
«Io non lo so, ma il tuo mulo dev'essere già arrivato a Nanchino. E' un'ora che si è slegato dalla staccionata. Non te n'eri accorto?»
Ping Hsiao salutò in fretta il maestro Lao Tse, gettò a terra la spada e corse alla ricerca del mulo. Il giovane era molto turbato. Cosa aveva voluto dire il saggio? Per riportare la serenità nel paese, chi doveva far ridere? Un ministro divertito e rilassato sarebbe più clemente e umano? O il popolo, ridendo dei potenti, saprebbe affrontare con più coraggio le difficoltà dell'esistenza? O forse Lao Tse aveva bevuto troppa acquavite di riso?
Nessuna traccia del quadrupede fuggitivo. Ping Hsiao si rassegnò ad affrontare i cento giorni di cammino che lo separavano dalla lontana capitale. Nel frattempo, avrebbe meditato sul da farsi. D'accordo, la satira. Ma per chi, e contro chi? Il suo cuore lo spingeva a mettere il suo umorismo al servizio del popolo. Ma, pensava, un popolo che crede di liberarsi dalla sofferenza con una risata non si deciderà mai a ribellarsi. Forse è più utile farsi assumere come giullare alla corte di Hua Wu, metterlo di buonumore con barzellette su quel ciccione del ciambellano o quella zoccola dell'imperatrice, sperando che prima o poi rida tanto da crepare.
Al centesimo giorno di cammino, quando entrò nella capitale, Ping Hsiao non era riuscito ancora a capire quale doveva essere era lo scopo della satira.
Figuratevi se l'ho capito io, che ci sto pensando solo da un paio d'ore.