Dite ciò che volete, ma a me il caldo torrido di questi giorni, con tutti i suoi 38°, piace.
Perché è un caldo potente ma abbastanza scarico di umidità, sotto un cielo azzurro bellissimo e intenso che fa risaltare i verdi degli alberi, ormai in piena maturazione estiva.
L’erba invece è gialla, secca, ma di un colore carico, e ondeggia a tratti come l’erba della savana.
Ieri sera, verso l’ora del tramonto ero quasi in cima a una collinetta nella campagna, in bici.
C’era silenzio e mi sono fermato. La sensazione, il paesaggio, le colline ondulate fino all’orizzonte e all’azzurro delle montagne, l’aria calda, rimandavano all’Africa. Sembrava una scena da film e non mi sarei stupito di aver trovato accanto a me su quella collina Robert Redford e Meryl Streep a guardare quel paesaggio infinito…
Oggi, invece, sono in macchina, son dovuto uscire per lavoro, ho mangiato a casa e poi son rientrato per la solita strada, in mezzo alla campagna fino alla città.
Fa 38° anche oggi. ma di afa ce n'è ben poca. E, anche oggi, a me piace.
Certo, io son fortunato, viaggio con l’aria condizionata, lavoro in ufficio, in questo momento non sto spandendo asfalto a sessanta gradi su una strada già rovente come quei poveracci che ho appena superato e che di questo caldo hanno ben altra visione…
Così, posso permettermi di pensare che il solito colorato gruppo di africane a quella fermata d’autobus isolata, mai come oggi è perfetto, naturale, e non ti aspetteresti altro che vedere gente nera e sentir rulli di tamburi…
Con loro un anziano, bianco, molto pallido che legge il giornale all’ombra di un piccolo pioppo, in camicia e con un cappello a tesa larga…
Sorrido e mi verrebbe voglia di fermarmi, scendere e avvicinandomi allungare la mano, dicendo: “Il dottor Livingstone, suppongo…”. Rido con me stesso della situazione immaginaria e passo così, coi denti in mostra accanto alle africane che ridono e salutano pure…
Quando arrivo in tangenziale l’erba degli spartitraffici è gialla, altissima e chinandomi un po’ dentro la macchina riesco a far sparire dalla vista inquadrata del finestrino i cordoli di cemento, così che sembra di trovarsi veramente nella savana. Dietro c’è una macchia d’alberi, rada, e dietro ancora una montagna grigia, all’orizzonte, di forma conica. Sembra il Kilimangiaro con un po’ di fantasia, ed ecco in mente le pagine di Hemingway e i racconti d’Africa del nonno e ti aspetti che tra alberi e savana esca l’elefante, grigio, imponente...
Che infatti esce, mentre supero lo spartitraffico e mi immetto in tangenziale.
Ma non è un elefante, è un enorme TIR carico di tronchi, incredibilmente grigio e sai mai che lo guidi un autista nero e che quei tronchi non siano ebani o doussiè o che altro e che il camion vada al mercato di Mombasa e io dietro a seguirlo, del resto non ho fretta…
Neanche a far apposta c’è un sottofondo etnico, in radio, così arrivo senza accorgermene e volgendomi indietro c’è ancora il colore, il caldo e il suono delle verdi colline d’Africa…
E’ bello tornare così, in ufficio…