Si chiamava M., ma per tutti era "cammello".
Un armadio a quattro ante di suo, il tutto amplificato dalla sua passione della palestra.
Tanto in carcere non c'era molto da fare, a parte la palestra.
Una storia come tante: la droga, i piccoli reati per procurarsela, cumuli su cumuli di pena, gli anni di galera.
Che tanto in carcere continui a farti, lì la droga passa, figuriamoci.
Il passaggio ad un "carcere modello", smetti di farti, lavoro duro in palestra, l'incontro con un associazione che lavora sull'inserimento lavorativo dei detenuti a fine pena.
L'ho conosciuto una volta che erano stati portati in "uscita premio" ad un meeting a cui partecipavo anch'io. Le risate per la tua richiesta al commissario di un locale d'estetista, per depilarti. Si sa, i muscoli si vedono meglio, senza peli.
E l'incontro con M., educatrice carceraria. E mia amica, dai tempi dell'università.
L'amore. La lotta per uscire dai guai, sei un tipo tosto tu, ma M., piccola, minuta, è più tosta di te.
Tutto va bene, sei fuori da tutto, ti rifai una vita, ti sposi, un lavoro.
Da lì, lo rivedo tutti gli anni, a luglio,nello stesso posto. Quest'anno non ci sono venuto io, non potevo.
Ieri mattina, lo schianto con la macchina.
Cammello non c'è più. Non è giusto, cazzo, una volta tanto che la vita per te è diventata bella, togliertela così. Non è giusto.
Un abbraccio, cammello, l'ultimo che quest'anno non sono riuscito a darti.