La guerra civile libanese fino al massacro di Sabra e Shatila
La guerra civile libanese (1975-1990) influì anche sul conflitto palestinese: infatti Israele sostenne militarmente con armi e addestramenti speciali la comunità cristiana dei maroniti e l'Esercito del Sud-Libano (cristiano) di Sa'd Haddad contro l'OLP e le forze armate siriane.
Shatila è un campo costruito nel 1949 per i cittadini rifugiati dalla guerra civile, che si trova vicino al sobborgo Sabra di Beirut. Il Sud del Libano era infatti diventato lo scenario in cui continuava il conflitto israeliano-palestinese. La guerra si aggravò dopo l'attentato (per opera del gruppo palestinese anti-OLP Abu Nidal) all'ambasciatore israeliano Shlomo Argov il 4 giugno 1982, che fu interpretato come un attacco palestinese. In risposta, dopo due giorni Israele invase il Libano con 60.000 uomini, con la motivazione di proteggere i suoi insediamenti nel nord della Palestina, inizia l'operazione "Pace in Galilea", che consiste nell'invasione militare del Libano meridionale. Ariel Sharon era l'allora ministro della Difesa.
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Le trattative
Alla metà di giugno del 1982 gli Israeliani iniziano l'assedio di Beirut e accerchiano i 15.000 combattenti dell'OLP e dei suoi alleati libanesi e siriani all'interno della città. All'inizio di luglio, il presidente degli USA Ronald Reagan invia Philip Habib - fiancheggiato da Morris Draper - con l'incarico di risolvere questa crisi. Cominciano lunghe ed estenuanti trattative rese assai difficili dal fatto che gli Israeliani e gli Statunitensi non vogliono discutere direttamente con i Palestinesi, e i Palestinesi asserragliati nella città non vogliono abbandonarla perché temono forti ritorsioni dei soldati israeliani e dei loro alleati falangisti nei confronti della popolazione locale. Habib ottiene faticosamente dal Primo Ministro israeliano l'assicurazione che i suoi soldati non sarebbero entrati a Beirut Ovest e non avrebbero attaccato i Palestinesi dei campi profughi; ottiene l'assicurazione del futuro presidente libanese, Beshir Gemayel (Giumayyil), che i falangisti non si sarebbero mossi, e infine ottiene l'assicurazione da parte del ministero della difesa degli USA che ci sarebbe stato un contingente militare USA a garantire gli impegni presi.
L'accordo fu firmato il 19 agosto, ma la situazione stava di nuovo per cambiare: il 23 agosto del 1982 viene eletto Presidente del Libano Beshir Gemayel, che gode del favore dei maroniti e di Israele.
Il 20 agosto, alla vigilia dell'imbarco dei primi miliziani palestinesi, che comiciano ad evacuare la città, viene pubblicata negli USA la quarta clausola dell'accordo per la partenza dell'OLP, che così recita: "I Palestinesi non combattenti, rispettosi della legge, che siano rimasti a Beirut, ivi comprese le famiglie di coloro che hanno abbandonato la città, saranno sottoposti alle leggi e alle norme libanesi. Il governo del Libano e gli Stati Uniti forniranno adeguate garanzie di sicurezza ... Gli USA forniranno le loro garanzie in base alle assicurazioni ricevute dai gruppi libanesi con cui sono stati in contatto" (American Foreign Policy, Current documents, 1982, Dipartimento di Stato, Washington D.C.).
Yasser Arafat rimane comunque preoccupato per la sorte della popolazione civile ed insiste sull'invio di una forza multinazionale che garantisca l'ordine. La richiesta ufficiale di intervento di una forza multinazionale di interposizione venne consegnata il 19 Agosto 1982 dal ministro degli esteri libanese Fu'ad Butros agli ambasciatori di Stati Uniti, Italia e Francia. Il piano fatto accettare dal mediatore USA Philip Habib a Libanesi, Palestinesi e Israeliani prevedeva l'intervento di 800 soldati statunitensi, 800 Francesi e 400 Italiani per garantire l'ordine durante il ritiro delle forze dell'OLP da Beirut. Il mandato della forza multinazionale era di un mese, dal 21 agosto al 21 settembre, e avrebbe potuto essere rinnovato su richiesta dei libanesi in caso di necessità. Tutti i combattenti palestinesi sarebbero dovuti partire entro il 4 settembre, e in seguito la forza multinazionale avrebbe collaborato con l'esercito libanese per portare una sicurezza durevole in tutta la zona delle operazioni.
Il 21 agosto arriva a Beirut il primo contingente internazionale composto dai Francesi e nel giro dei due giorni successivi anche i soldati italiani e americani prendono posizione nella città. A questo punto Arafat acconsente di abbandonare Beirut insieme ai suoi 15.000 combattenti.
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La situazione precipita
Il primo giorno di settembre, l'evacuazione dell'OLP dal Libano era terminata. Due giorni dopo, le armate israeliane avanzarono e assediarono i campi-profughi palestinesi, venendo meno al patto siglato con gli eserciti cosiddetti "supervisori", che però non fecero nulla per fermarle.
Caspar Weinberger, segretario alla difesa americana, ordina ai marines di abbandonare Beirut il 3 settembre. Esattamente lo stesso giorno le milizie cristiano-falangiste, alleate degli Israeliani, prendono posizione nel quartiere di Bir Hassan, ai margini dei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila. La partenza degli Statunitensi comporta automaticamente quella dei Francesi e degli Italiani. Il 10 settembre gli ultimi soldati partono da Beirut, esattamente 11 giorni prima di quanto sarebbe dovuto accadere, lasciando di fatto campo libero a Israele. Il giorno dopo, l'allora Ministro della Difesa Ariel Sharon contestò la presenza di 2000 guerriglieri dell'OLP rimasti in territorio libanese; i Palestinesi negarono il fatto.
Il premier israeliano Menachem Begin convocò il neo-presidente Gemayel a Nahariya per fargli firmare un trattato di pace con Israele, anche se alcune [1] fonti sostengono che Begin chiese anche a Gemayel di permettere la presenza delle truppe israeliane nel sud Libano, con a capo Sa'd Haddad, ex capo dell'Esercito del Sud-Libano; in più Gemayel fu costretto a dare la caccia ai 2000 guerriglieri palestinesi la cui presenza era stata denunciata da Sharon. Gemayel, anche a causa dei crescenti rapporti di alleanza con la Siria, dovette rifiutare di schierarsi dalla parte di una sola fazione, e non firmò il trattato.
Il 14 settembre 1982, Gemayel fu ucciso in un attentato; e nonostante i leader palestinesi negassero ogni responsabilità nell'accaduto, Ariel Sharon accusò pubblicamente i Palestinesi, facendo sollevare i Falangisti (il partito di Gemayel) contro la Palestina.
Il 15 settembre 1982, le truppe israeliane invasero Beirut Ovest. Con quest'azione, Israele ruppe l'accordo con gli USA di non entrare a Beirut Ovest, gli accordi di pace con le forze musulmane intervenute a Beirut e quelli con la Siria. Nei giorni successivi il premier Begin giustificò l'accaduto come una contromisura per "proteggere i rifugiati palestinesi da eventuali ritorsioni da parte dei gruppi cristiani"; tuttavia pochi giorni dopo Sharon affermò al parlamento che "l'attacco aveva lo scopo di distruggere l'infrastruttura stabilita in Libano dai terroristi".
Il 16 settembre 1982, Elias Hobeika, capo delle milizie cristiano-falangiste, entra nei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut Ovest. Alle ore 18 comincia la mattanza.
David Lamb scrive sul quotidiano The Los Angeles Times del 23 settembre 1982: "Alle 16 di venerdì il massacro durava ormai da 19 ore. Gli Israeliani, che stazionavano a meno di 100 metri di distanza, non avevano risposto al crepitìo costante degli spari né alla vista dei camion carichi di corpi che venivano portati via dai campi".
Elaine Carey scrive sul quotidiano Daily Mail del 20 settembre 1982: "Nella mattinata di sabato 18 settembre, tra i giornalisti esteri si sparse rapidamente una voce: massacro. Io guidai il gruppo verso il campo di Sabra. Nessun segno di vita, di movimento. Molto strano, dal momento che il campo, quattro giorni prima, era brulicante di persone. Quindi scoprimmo il motivo. L'odore traumatizzante della morte era dappertutto. Donne, bambini, vecchi e giovani giacevano sotto il sole cocente. La guerra israelo-palestinese aveva già portato come conseguenza migliaia di morti a Beirut. Ma, in qualche modo, l'uccisione a sangue freddo di questa gente sembrava di gran lunga peggiore".
Loren Jankins scrive sul quotidiano Washington Post del 20 settembre 1982: "La scena nel campo di Shatila, quando gli osservatori stranieri vi entrarono il sabato mattina, era come un incubo. In un giardino, i corpi di due donne giacevano su delle macerie dalle quali spuntava la testa di un bambino. Accanto ad esse giaceva il corpo senza testa di un bambino. Oltre l'angolo, in un'altra strada, due ragazze, forse di 10 o 12 anni, giacevano sul dorso, con la testa forata e le gambe lanciate lontano. Pochi metri più avanti, otto uomini erano stati mitragliati contro una casa. Ogni viuzza sporca attraverso gli edifici vuoti - dove i palestinesi avevano vissuto dalla fuga dalla Palestina alla creazione dello Stato di Israele nel 1948 - raccontava la propria storia di orrori. In una di esse sedici uomini erano sovrapposti uno sull'altro, mummificati in posizioni contorte e grottesche."
Testimonianza di Ellen Siegel, cittadina americana, infermiera volontaria, ebrea. In cima all'edificio soldati israeliani guardavano verso i campi con i binocoli. Miliziani libanesi arrivarono in una jeep e volevano portare via un'assistente sanitaria norvegese. Ci rivolgemmo ad un soldato israeliano che disse ai miliziani di andare via. Infatti partirono. Alle 11.30 circa gli israeliani ci condussero a Beirut Ovest. Sedetti sul sedile anteriore di una jeep della IDF. L'autista mi disse: - Oggi è il mio Natale (intendendo la festività ebraica del Roshanah). Vorrei essere a casa con la mia famiglia. Credete che mi piaccia andare porta a porta e vedere donne e bambini? - Gli chiesi quante persone avesse ucciso. Rispose che non era affar mio. Disse anche che - l'armata libanese era impotente, erano stati a Beirut per anni e non avevano fatto nulla, che Israele era dovuta arrivare per fare tutto il lavoro.
Il numero della vittime non è mai stato accertato esattamente. La Croce Rossa Internazionale ha accertato una cifra di 2.750 morti, a cui vanno aggiunti i corpi nelle fosse comuni, quelli restati sotto le macerie e i deportati mai più tornati. È opinione comune degli esperti internazionali che le vittime siano state tra le 3.000 e le 3.500, il tutto in sole 40 ore tra il 16 e il 18 settembre 1982.
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