Tav spa. La storia della Tav spa comincia il 7 agosto 1991. Nacque pronunciando un’enorme bugia, quella che i 100 miliardi di lire del suo capitale fossero al 60 per cento capitale privato e al 40 per cento pubblico. Non era vero, erano tutti pubblici. Le 21 banche presenti erano quasi tutte pubbliche e le private arrivavano al 10 per cento del capitale. La maggioranza assoluta era delle Fs, le quali detenevano il 45 per cento delle quote più il 5,5 per cento attraverso la Banca Nazionale delle Comunicazioni, la banca delle Fs. Dalla madre di tutte le bugie Tav scaturì la possibilità di affidare la costruzione delle infrastrutture a dei general contractor (V.) mediante trattativa privata. Di seguito venne propalata l’altra grande bugia, che l’opera verrà finanziata sempre al 60 per cento da capitali privati. Invece fu lo Stato a garantire «il finanziamento del 40 per cento in conto capitale, mentre il 60 per cento doveva essere ricercato sul mercato dei capitali con prestiti che ovviamente dovevano essere restituiti con interessi di mercato; poco importava anzi bastava tenere riservato il fatto che gli interessi fino alla realizzazione dell’opera dovevano essere pagati dallo Stato così come la restituzione dei prestiti doveva essere garantita dalle stesse Fs e dallo Stato» (I. Cicconi, La storia del futuro di Tangentopoli, pag.188). Nacque poi il problema di legare Fs e Tav. Le Fs dovevano finanziare solo il 40 per cento dell’opera per cui la Tav con un contratto di concessione di gestione poteva rientrare del 60 per cento sborsato privatamente tramite gli incassi della gestione. Ma per rientrare dei soldi spesi Tav avrebbe impiegato almeno 350 anni. Allora venne coniata la «concessione per lo sfruttamento economico» per giustificare il trasferimento di risorse dallo Stato alle Fs. Un trasferimento impossibile: negli accordi di programma non viene mai detto come i privati dovevano finanziare il 60 per cento né come lo avrebbero recuperato. Di fronte a questi silenzi, Eni e Iri, due dei tre general contractor, si fanno da parte, indicando delle loro società collegate, Snam e Iritecna mentre il terzo, la Fiat, firmò all’ultimo momento, il 15 settembre, solo quando ebbe la certezza della copertura da parte dello Stato. Nel dicembre 1991 vennero firmati i contratti tra Tav e i consorzi, Cepav uno e due, Iricav uno e due, Cavet, Cociv, Cavtomi, accordi di massima con una sola certezza: «Tav spa paga il 100 per cento dei costi previsti nei contratti, nessun rischio è a carico degli imprenditori» (Cicconi, op. cit., pag. 192). Il capolavoro è fatto. L’Italia potè rispettare il parametro di Maastricht che impone al 3 per cento il rapporto tra deficit e Pil ed entrare trionfalmente in Europa. Il 10.3.1998 cadde la maschera: le Fs acquisirono il 100 per cento di Tav spa e dal 1.1.2003 la Tav è entrata nell’orbita della società Infrastrutture spa con azionista unico la Cassa Depositi e Prestiti. Infrastrutture si accolla quel 60 per cento finto privato e trasforma in capitale sociale il 40 per cento pubblico, allungando al 2061 la concessione alla Tav. Lo Stato continuerà a coprire la quota relativa agli interessi intercalari fino alla conclusione dei lavori; quando la Tav funzionerà il debito sarà coperto, sia per la quota relativa agli interessi che per quella relativa al capitale, dai proventi dello sfruttamento economico. Lo Stato si farà carico anche di integrare quella parte del debito che i proventi non riusciranno a coprire (50 per cento. Appena Infrastrutture spa sarà operativa, Tav sarà finanziata con il collocamento della prima emissione obbligazionaria.