Una delle mie principali passione è l'arte e ogni tanto mi fermo a riflettere su un'opera.
Oggi l'ho fatto con questa...
“L’Urlo” di Edvard Munch (1863-1944) è una delle opere d’arte più conosciute al mondo proprio per la semplicità con cui è stata rappresentata una comune, quanto estrema, emozione.
L’urlo è infatti una delle manifestazioni più spontanee e immediate propria di ogni essere umano e la fortuna del quadro è dovuta in gran parte al modo anonimo e essenziale con cui quest’emozione è stata rappresentata.
Manca infatti un contorno che fornisca una spiegazione al gesto e in questo modo chiunque può appropriarsene e immedesimarsi nell’emozione.
Oltre a ciò il pittore ha utilizzato una tecnica estremamente audace per i suoi tempi (olio tempera e pastello) ma ben comprensibile e assimilabile oggi a più di 100 anni di distanza dalla sua creazione.
Edvard Munch, infatti, ha creato con la violenza delle linee e dei colori un atmosfera “allucinata” e quasi onirica che si fonde mirabilmente con il senso di ansia e inquietudine dovuto alla spontaneità e alla vigoria del tratto (accentuate anche dalla rugosità del fondo in cartone).
Detto questo possiamo però addentrarci un po’ più in profondità nell’opera partendo dalla vita di Edvard Munch.
Il pittore norvegese, vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900, ha fin da subito tradotto sulla tela i temi dell’amore e della morte, della paura e della malattia che derivavano dalla sua personale esperienza di vita. La morte delle persone a lui care, come quella della madre, avvenuta durante l’infanzia, e quella della sorella per lungo tempo malata di tisi lo segnarono profondamente e ne intaccarono la già fragile salute mentale portandolo ad una forte depressione e finendo per costituire, per sua stessa ammissione, il motore della sua attività: “Senza la paura e la malattia, la mia vita sarebbe come una barca senza remi”.
Egli concepì un ampio ciclo di opere che denominò “Il Fregio della Vita” composto di 4 sezioni a rappresentare la vita, l’amore e la morte:
- Il risveglio dell’amore
- Lo sbocciare e il declinare dell’amore
- L’angoscia di vivere
- La morte
L’Urlo fece parte di questo organico ciclo di opere e ciò spiega perché l’autore ne fece più versioni desiderando esporre contemporaneamente il ciclo completo.
A questo proposito va ricordato che l’opera rubata al Museo Munch e recuperata di recente non era la versione “canonica” che è invece custodita alla Galleria Nazionale di Oslo (e lì è sempre rimasta).
Esistono quindi dei profondi legami con le altre opere del ciclo e in particolare con la celebre Madonna che rappresentava lo sbocciare dell’amore.
In una versione del quadro l’opera era circondata da una cornice dipinta con spermatozoi e embrioni a ricordare l’aspetto “biologico” dell’amore.
Anche nell’Urlo la forma del corpo del “protagonista” è flessuosa a ricordare la traccia serpentina degli spermatozoi e la sua testa è ridotta al minimo indispensabile quasi fosse un semplice cranio o addirittura un embrione.
Il personaggio risulta così asessuato e indeterminato, nel bel mezzo del cammino tra la vita e la morte.
Questo percorso è simbolizzato dal ponte in cui le linee oblique e vigorose del parapetto e del selciato suggeriscono lo scorrere rapido del tempo.
L’essere quindi, si consuma in un presente tanto angoscioso e lontano da qualsiasi soluzione salvifica da costringerlo ad urlare.
Non si può però ignorare anche un altro elemento essenziale dell’opera: il paesaggio.
Noi sappiamo che il quadro fu dipinto in seguito ad un episodio realmente avvenuto nella vita dell’autore e da lui così raccontato:
“Una sera, mentre camminavo…da una parte si trovava la città e dall’altra il fiordo, ero molto stanco e malato. Mi fermai e mi voltai a guardare verso il fiordo. Il sole tramontava, le nuvole erano tinte di rosso come se fosse sangue. Ho sentito come se la natura urlasse e io potessi intendere quel grido. Ho dipinto quella situazione. Ho dipinto le nuvole come fossero di sangue vero. I colori urlavano…era la natura che urlava nel mio sangue.”
L’intensità è tale che la grandiosità si trasforma in terrore che entra fin nel corpo e nelle vene dell’artista scuotendolo (l’andamento flessuoso del corpo) in un urlo che esprime addirittura il timore di essere inghiottito dalla natura scatenata. La testa infatti, è come compressa nelle volute di uno sfondo che esprime in pieno la potenza di una natura davanti alla quale l’uomo e la sua stessa vita sono insignificanti e impotenti.
La solitudine e precarietà dell’uomo è evidenziata dagli altri due personaggi del quadro che appaiono, con il loro portamento rigido e dritto, completamente estranei e indifferenti alla scena.
L’incubo è personale e nessun aiuto può venire dal di fuori.
matra