Lasciamo fuori dalla sala il sottotitolo italiano, veramente fuorviante ("l'impero della mente").
Io penso di aver capito questo film. O, per lo meno, mi sono fatto un'idea delle sensazioni che mi si sono agitate dentro durante la visione.
E' vero che spesso la critica ufficiale si comporta in maniera pavida con i film di Lynch, e li capisco anche. Nessuno vuole sbilanciarsi, tengono il più possibile il piedi in tutte le scarpe che hanno a disposizione, per future stroncature o sperticate lodi.
Io invece voglio sbilanciarmi completamente.
Questo film di Lynch va nella stessa cartelletta di 8 e 1/2 di Fellini, innanzitutto. Ma lo scopo "lirico" è completamente diverso. O meglio, è completamente assente, in Lynch. Il lavoro di Fellini è ancora fruibile ai fini di una discussione, perché alla fine dei conti, scremato di tutta la visionarietà felliniana, ha un preciso scopo, dal titolo fino alla fine: vi racconto l'inettitudine di chi non riesce a fare film, dell'artista che si trova bloccato, del panico da "pellicola bianca".
Il film di Lynch va oltre il metaracconto. E' animato dall'interesse artistico-scientifico-filosofico che può scaturire dalle domande: di che "materia" è fatto un film? come è fatto il mondo delle idee, quel magma primordiale dove si agitano i personaggi, i luoghi e le storie che compongono quello che vediamo? Cosa succede a questi personaggi, a queste idee, a queste storie prima e dopo che le abbiamo viste? Cosa pensano, cosa dicono, cosa vivono, le idee pure, quando sono in quel limbo nel quale "non sono" perché non c'è nessuno a fruirle?
E sti cazzi, fateci un film voi, se siete capaci.
Lynch ci è riuscito. Ha fatto un documentario scientifico-filosofico su questa pappetta ancestrale. Ci sono tutti i pesonaggi: il regista, gli attori, le scenografie, lo spettatore.
Manca la critica, completamente, perché è assolutamente inutile, e giustamente Lynch la ignora. C'è un intreccio di intrecci. C'è lo scambio tra lo spettatore e l'opera d'arte, alla fine, opera d'arte impersonata dalla protagonista della stessa, che, anche grazie a un'interpretazione superba e impensabile (irracchiudibile) della Dern. Lo spettatore che torna alla sua vita e l'idea-film-opera d'arte, con tutto quello che si tira dietro, che torna nel suo mondo, che per la prima volta vediamo.
E c'è da rimanere veramente stupiti.
Non è un film per tutti. Se non vi siete mai chiesti "di che pasta è fatta un'idea?" evitatelo.
La sala era piena, a inizio proiezione, ed era mezza vuota alla fine. E di quella metà, una buona metà sbuffava visibilmente, uscendo.
Potrei scrivere un milione di altre righe, ma mi fermerò all'essenziale, a questo, perché c'è veramente da perdersi.