Originariamente inviato da jonnym78
http://www.repubblica.it/2007/03/sez...proprieta.html
PECHINO - È un passaggio cruciale per relegare l'eredità di Mao agli archivi della storia: la Repubblica popolare cinese sta per inserire la tutela della proprietà privata tra i principi fondamentali della sua Costituzione. La riforma è all'ordine del giorno da lunedì, quando a Pechino si riunirà l'Assemblea nazionale del Popolo nella sua sessione legislativa annua.
Anche se da un quarto di secolo la Cina ha imboccato la via del mercato, e oggi la sua integrazione nell'economia globale è tale che Wall Street reagisce ai sussulti della Borsa di Shanghai, inserire il diritto alla proprietà privata tra i cardini della Costituzione è un passo formale che resta da fare. Nessuno ne sottovaluta l'importanza. L'anno scorso, lo stesso progetto di riforma fu bloccato dalla fiera resistenza dell'ala più conservatrice del Partito comunista, che ancora professa fedeltà a Mao e vanta un peso tutt'altro che marginale dentro i ranghi della nomenklatura.
Dietro le apparenze di una battaglia fra una destra "capitalista" e una sinistra "statalista", si gioca una partita di ombre cinesi più che mai ingannevoli. Il vero terreno minato è la riforma del regime di proprietà terriera nelle campagne. È questa infatti la base giuridica fondamentale che spiega molte proteste contadine che infiammano il paese. Mentre i risparmiatori sono già liberi di comprare azioni in Borsa, gli imprenditori da anni possono acquistare e vendere aziende, e i cittadini sono liberi di possedere le loro case, i terreni agricoli sono ancora soggetti alla decisione delle autorità locali. Anche quando una famiglia contadina ha coltivato sempre la stessa terra, può essere cacciata con indennizzi irrisori se i dirigenti locali del partito decidono di cederla per un insediamento industriale o edilizio (intascando le plusvalenze). Su questo punto è scattata una dialettica perversa tra destra e sinistra nel Partito comunista cinese.
L'offensiva della corrente dei "falchi" neomarxisti da anni riesce a bloccare una nuova legge a tutela della proprietà privata. Su questo tema si misura l'ambiguità del dibattito politico cinese. In nome dell'astratto principio socialista, in realtà è stata mantenuta l'ingiustizia più grave che affligge i contadini, la causa primaria delle proteste violente che dilagano nelle regioni povere: proprio perché non sono titolari del diritto di comprare o vendere i loro campi, gli agricoltori sono alla mercé dei dirigenti corrotti, i politici locali che espropriano i terreni e li cedono a industriali e palazzinari in cambio di tangenti. Sancire per tutto il paese il principio della proprietà privata darebbe una nuova speranza ai contadini poveri.
L'esodo dalle campagne - inevitabile con una forza lavoro rurale di oltre 700 milioni di persone - potrebbe avvenire in modi più indolori, pagando un prezzo equo agli agricoltori espulsi. Il fronte conservatore in apparenza difende la memoria di Mao e il simulacro di uno Stato socialista; in realtà vuole garantire alla nomenklatura di periferia il monopolio della rendita sulle cessioni delle terre.
Il presidente Hu Jintao forse non arriverà neanche questa volta a cancellare l'ultimo residuo del maoismo. Secondo alcune anticipazioni, la proposta di riforma che sarà sottoposta lunedì all'assemblea potrebbe escludere proprio la privatizzazione dei terreni agricoli. Se è così, Hu Jintao confermerebbe di essere sensibile alle pressioni dell'ala ortodossa. La vecchia guardia dei nostalgici del maoismo è una utile alleata del regime per consolidare il controllo autoritario, la repressione e la censura di ogni dissenso. Per ottobre si prepara un appuntamento politico importante, il congresso del partito. In quella occasione Hu Jintao vuole blindare il suo potere, avviare i preparativi della sua successione garantendo che la scelta del delfino avvenga entro una cerchia di fedelissimi.
In queste manovre si inserisce la nuova "purga di Shanghai": dopo l'arresto del capo del Partito comunista della metropoli finanziaria avvenuto l'anno scorso, ieri altri nove dirigenti politici ed economici di Shanghai sono stati espulsi dal partito e incriminati per reati di corruzione. Sembra che gli accusati abbiano fatto sparire un miliardo di euro dal fondo pensione della municipalità. Ma dietro l'accanimento contro i dirigenti di Shanghai - che non sono certo gli unici leader cinesi corrotti - traspaiono dei regolamenti di conti politici. Shanghai è sempre stata la roccaforte di potere di Jiang Zemin, il predecessore di Hu Jintao, che era più favorevole al mercato, alla globalizzazione, allo sviluppo capitalistico. Decapitando il clan di Shanghai, Hu Jintao conferma una correzione di rotta: il capitalismo in salsa cinese continuerà a muoversi entro limiti precisi, il primato della politica e dell'autorità del partito.
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già mi vedo vificunero che tenta il suicidio, Agiaco e si ritira in esilio a milanello e alain che va a surfare sul fiume giallo