Si dice che nell’ex DDR in ogni famiglia tedesco-orientale uno dei membri fosse confidente della Stasi, la polizia segreta di Stato del regime comunista di Honecker.
Si sa che migliaia e migliaia di tedesco-orientali sono stati spiati, schedati, catalogati e seguiti in ogni momento della loro vita da efficientissimi, silenziosi e spietati agenti che in qualsiasi momento potevano decidere del loro destino.
Ora che tutto questo è finito dopo la caduta del Muro, se ne può parlare. Se ne può anche fare un film come questo, sorprendente e splendida opera prima di un giovane e sconosciuto regista tedesco.
Un film che illustra con realismo il clima opprimente e freddo di quel regime poliziesco, ma che rivela anche come ogni regime contenga dietro l’apparenza rigida e dogmatica di efficienza, di attaccamento all’idea, di fede in “valori incrollabili”, anche i germi stessi che ne minano l’esistenza: la corruzione, la brama di potere, l’egoimo e la meschinità umane, l’irrazionalità dei sentimenti, la necessità di comunicare, l’intoccabile e incomprimibile libertà della sfera individuale, privata.
Il film, meritatissimo Oscar come miglior film straniero, mi è piaciuto molto come thriller, tesissimo, ottimamente sceneggiato, ma soprattutto perché è uno di quei film che toccano la sfera personale, le corde morali degli individui, le eterne aspirazioni alla felicità, al cercare di essere “uomini buoni”.
Il finale è struggente, mi ha commosso, confesso che non riesco a parlare del film come vorrei.
Diciamo che condivido queste righe, molto belle, che ho trovato in rete, e per le quali ringrazio l’autore.
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Globale ****1/2
Credo che lo rivedrò.