Previti e il blitz per il voto segreto
ROMA — Una normale giornata parlamentare potrebbe trasformarsi in una giornata particolare per la politica. Tutto per via di una lettera che sarebbe già nelle mani di Elio Vito, e che il capogruppo di Forza Italia alla Camera leggerebbe oggi in Aula prima del voto sulla decadenza di Cesare Previti da deputato.
La lettera, che sarebbe stata scritta proprio dall'ex ministro della Difesa, annuncerebbe la volontà del deputato azzurro di dimettersi. Formalmente si arriverebbe allo stesso epilogo,
ma le procedure prevedono differenze di non poco conto: mentre la decadenza si vota a scrutinio palese, le dimissioni si votano a scrutinio segreto. E se l'Assemblea di Montecitorio respingesse la richiesta del collega forzista condannato con sentenza definitiva, gli effetti politici potrebbero essere dirompenti. Dato che l'opposizione non possiede i numeri per bocciare da sola la richiesta di Previti, risulterebbe infatti evidente il «soccorso» della maggioranza.
È accaduto che il voto segreto sia stato usato per fini politici, e in molti nel Palazzo sono tornati con la memoria agli effetti che provocò la mancata autorizzazione a procedere per Bettino Craxi. Sarebbe un evento insidioso per l'Unione, e soprattutto per i Ds, preoccupati per la sovrapposizione mediatica tra il voto dell'Aula su Previti e i lavori della Giunta chiamata a discutere la richiesta del Gip di Milano, Clementina Forleo, di usare le intercettazioni sul caso Unipol-Bnl in cui sono coinvolti i vertici della Quercia. Si tratta di vicende assolutamente distinte e distanti, ma se oggi Previti -per qualsiasi motivo - restasse ancora deputato, e la Giunta rinviasse a settembre la decisione sulle telefonate di Piero Passino e Massimo D'Alema con Giovanni Consorte, la miscela politica potrebbe farsi esplosiva. «Basterebbe poco per ripiombare nel clima del '92», dice il capogruppo verde Angelo Bonetti.
Ecco perché ieri a Montecitorio c'era un'atmosfera febbrile, con la presidenza della Camera in attesa di capire se davvero Previti giocherà la carta delle dimissioni.
È certo che gli uffici, allertati, hanno predisposto tutto: la procedura di decadenza verrebbe bloccata e dopo la Conferenza dei capigruppo si passerebbe subito al voto sulla richiesta di dimissioni. Ma è chiaro che il nodo è politico, così come le conseguenze. In questi giorni l'ex ministro di Silvio Berlusconi ha esternato la propria rabbia ad alcuni amici: «Trovo ingiusto che la Camera decida sul mio conto in contumacia, mentre sarebbe bastato spostare la questione in autunno perché fossi presente. Voglio parlare prima di essere giudicato, invece non mi viene data questa possibilità».
Se oggi Previti lascerà lo scranno di deputato, si chiuderà una stagione politica. «Se così non fosse, si aprirebbe un conflitto senza precedenti con la magistratura», dice Luciano Violante, uomo simbolo della stagione che portò alla fine della Prima Repubblica, e che oggi deve fronteggiare l'offensiva giudiziaria contro i Ds. Sembra che la nemesi si stia abbattendo sulla Quercia, ma l'ex presidente della Camera spiega i motivi degli atteggiamenti passati e quelli da tenere adesso: «Allora il partito era schierato con i magistrati perché nelle inchieste su Tangentopoli vedeva inverarsi la tesi di Enrico Berlinguer, secondo cui il sistema sarebbe crollato sulla questione morale».
«Ora — prosegue Violante — il caso che ci vede coinvolti è giudiziariamente inesistente. Dovremo comunque dare l'autorizzazione, denunciando però al tempo stesso la violazione della leale cooperazione tra le istituzioni. Perché con questa inchiesta è venuto meno il principio della lealtà cooperativa tra pezzi dello Stato. Com'è possibile che la magistratura a Milano sia riuscita a incastrare la Cia sul caso Abu Ornar e non abbia invece scoperto chi ha dato alla stampa le intercettazioni?». Sa già cosa accadrà dopo le autorizzazioni, «e certo non sarà bella l'immagine del ministro degli Esteri in procura. Ma l'effetto sarà depotenziato dalla gestione maldestra di questa inchiesta che si è delegittimata da sola, e poi dal fatto che la base del partito crede a D'Alema, ha verso di lui una fede quasi religiosa».
Oggi si vedrà se una normale giornata parlamentare si trasformerà in una giornata particolare. Ieri il capogruppo dell'Ulivo Dario Franceschini sentiva puzza di bruciato. «Non capisco questo silenzio di Forza Italia», ha detto ai suoi. E in attesa di decidere come muoversi in Aula, ha spiegato come bisogna muoversi in Giunta: «Non dovranno esserci strappi nelle forme e nelle procedure». Traduzione: si sposti giustamente a settembre la decisione sulle intercettazioni, come vogliono i Ds, ma si scordino l'ordine del giorno contro la Forleo.
Francesco Verderami
31-07-2007
Corriere della Sera