Rifondazione guida la rivolta
«Siamo stanchi di berci tutto»
Giordano: «Stavolta andremo fino in fondo». Mussi: «Pronti a strappare». In Transatlantico si «gioca» a chi farà la crisi: Di Pietro e Dini «i pericolosi»
La Finanziaria non piace a nessuno e il governo sembra quasi non essere affar loro. «Io questa Finanziaria non la voto e se Prodi non cambia idea, strappiamo»: Fabio Mussi, titolare dell'Università, trattiene a stento la rabbia parlando con i compagni della «Cosa rossa».
Mussi è pronto a rompere, i ministri della Cosa rossa potrebbero non votare la finanziaria se non cambia radicalmente, i malumori, però, non riguardano solo l'ala sinistra. «Qui sopravviviamo, ma per quanto? Forse Tommaso Padoa-Schioppa più che dei conti dovrebbe preoccuparsi dei voti che ci resteranno dopo questa finanziaria»: Beppe Fioroni, ministro della Scuola, reduce da una visita a palazzo Chigi, si sfoga con i colleghi della Margherita davanti all'aula di Montecitorio. Ma è soprattutto la «Cosa rossa» che è partita all'attacco. Ancora alla Camera, questa volta tra i parlamentari di Rifondazione, nel cortile di Montecitorio.
Il leader Franco Giordano si sfoga con i compagni di partito: «Noi abbiamo fatto delle aperture anche sull'Ici. Sull'Afghanistan ci siamo comportati correttamente. E Prodi per tutta risposta incontra Lamberto Dini e subito dopo ci viene a dire che le rendite finanziarie non possono essere tassate. Bene, allora noi gli rispondiamo che questo non lo possiamo accettare. Loro pensano che noi non possiamo fare cadere il governo e che quindi dobbiamo berci tutto? Non è così. Non siamo più disposti a subire, sbagliano se lo credono: non è che per paura di una crisi di governo o del voto noi non andiamo fino in fondo questa volta».
L'atmosfera è surriscaldata dalle parti di Rifondazione comunista. L'onorevole Ramon Mantovani è scatenato: «
Perché non ci prendiamo il merito di mandare a casa questo esecutivo? Io, del resto, non avrei votato neanche la finanziaria dello scorso anno». Ce l'ha con tutti, Mantovani, anche con Ferrero: «Ho visto che vuole far scrivere sul vino: fa male alla salute. Io farei tatuare sulla sua fronte:
il governo fa male alla salute». E il leader del Pdci Diliberto non è meno duro: «Io questa finanziaria non me la posso intestare e non voglio ascoltare una mediocre lezione universitaria sulla finanziaria da Padoa Schioppa».
Si torna in Transatlantico. Continua il via vai dei ministri. Ma ministri per quanto? Il guardasigilli Clemente Mastella è grigio in volto, cambia colore (e diventa rosso) solo quando gli si parla del volo sull'aereo di Stato.
E le sorti del governo? «Non mi interessano. Mi sono indifferenti ». Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà sociale, uno dei pezzi grossi di Rifondazione comunista, cammina lesto per i corridoi della Camera e spiega a chiunque incontri:
«Il no di Prodi alla tassazione delle rendite finanziarie non è accettabile».
A Palazzo Chigi, intanto, Prodi rimugina su difficoltà e pericoli. La lettura dell'intervista di Marco Follini al Corriere della Sera in cui l'ex leader dell'Udc lo invita a dimettersi dopo la finanziaria lo ha insospettito («bella riconoscenza! ». Perché Follini fa questa sortita proprio adesso? Ma le falle nella maggioranza sono tante e tapparle tutte è impresa improba.