Sono in tanti, in Calabria, a brindare alla «promozione » di Giancarlo Bregantini, tolto alla «sua» Locri per essere destinato come arcivescovo metropolita alla diocesi più importante di Campobasso.
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Però... Però il colpo, per la Calabria, è durissimo. Basti leggere, al di là delle parole forse un po' scontate e rituali di alcuni politici che certo non avrebbero potuto dire il contrario, la presa di posizione di tre intellettuali di spicco come l'economista Domenico Cersosimo, il sociologo Piero Fantozzi e l'antropologo Vito Teti. Che parlano d'«una notizia agghiacciante», denunciano un «
provvedimento irresponsabile », contestano la «rimozione» di «un vescovo nella frontiera della Calabria più estrema, malata, degradata » che era diventato il «
simbolo nobile della Calabria contemporanea civile, propositiva, fattiva
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Poi
distribuì un durissimo libro di preghiere di «sfida alla mafia». Poi prese a battere a tappeto tutti paesi e le contrade martellando (soprattutto in luoghi come Motticella: poche centinaia di abitanti e una cinquantina di morti per una faida) contro «l'idea aberrante di un destino ineluttabile per cui in Calabria tutto è sempre stato e tutto sempre sarà così».
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Una guerra frontale. Totale. Assoluta. Dichiarata giorno dopo giorno con una voce che pareva ancora più tonante tra i silenzi, le afonie, i sussurri di tanti altri vescovi, parroci, cappellani. Per questo anche la Chiesa oggi, e non solo lo Stato, ha una responsabilità grande. Perché, dopo l'addio di un uomo come Giancarlo Bregantini, i calabresi onesti e pieni di fede rischiano di sentirsi ancora una volta abbandonati dopo troppi abbandoni. E questo sarebbe davvero un delitto.