L’età barbarica chiude idealmente una trilogia del regista Denys Arcand iniziata con “Il declino dell’impero americano” e proseguita con “Le invasioni barbariche”.
Un po’ sottotono rispetto agli altri due, è un film fortemente (e forse esageratamente) pessimista sulla nostra civiltà, ormai dominata dai barbari (noi stessi) che hanno smarrito ogni senso della vita trasformandola in un’alienazione da traffico, orari, burocrazia, pseudo-democrazia, efficientismo.
Una finta libertà che in realtà è schiavitù, un finto progresso tecnico che in realtà è regresso umano, assenza di ogni pietà.
Il protagonista del film è Jean-Marc, un impiegato quarantenne dello stato del Quebec canadese, che vive la sua quotidiana non-vita tra un lavoro che non lo soddisfa, una moglie in carriera superimpegnata e due figlie adolescenti che lo ignorano.
Una realtà dalla quale Jean-Marc vorrebbe fuggire, ma non ne ha il coraggio, e allora ricorre al mondo immaginario dei sogni e alle fantasie ad occhi aperti, nelle quali si figura sempre uomo di successo circondato da donne bellissime e disponibili, in quelle che sono forse le parti migliori, più sarcastiche ma anche più divertenti del film.
Non convincono molto infatti gli altri tipi di “fuga” suggeriti dal regista, sia il weekend in costume a rivivere un lontano passato, sia la fuga dall’infernale agglomerato urbano appaiono molto “cinematografici” ma poco realistici e fanno apparire il film piuttosto slegato.
Resta attuale il messaggio di fondo, ovvero l’invito a guardare cosa concretamente siamo diventati.
Credo che in questo senso vada interpretato l'aperto pessimisto proposto nel film, un voluto esasperare i toni per riportarci a riflettere su una realtà (barbarica) che forse possiamo ancora cambiare.
(ma chissà che nel Quebec non sia veramente così? Brrrr….)
Globale ***