Assenti dal cda di una società su due Modello Norvegia, verso una legge.
Mentre là (in Norvegia) il governo sembra deciso a far rispettare la legge che vuole un 40% di donne nei cda, e dunque a chiudere le aziende (sono più di un centinaio) che non si sono adeguate entro il 31 dicembre dell’anno scorso come avrebbero dovuto fare, qui in Italia più delle metà delle aziende quotate in Borsa non ha neanche una donna nei suoi organi sociali.
Quando ci sono, le donne sono perlopiù sole in consessi totalmente maschili e, soprattutto, appartengono alla famiglia che possiede l’impresa. Insomma, figlie, mogli, madri o sorelle.
È questo il risultato di un’analisi sulla composizione dei consigli di amministrazione e sui collegi sindacali fatto dal Corriere della Sera insieme con Livia Aliberti Amidani, di Aliberti Governance Advisor, su dati della Consob al 2 gennaio. Un totale di solo 202 donne con incarichi effettivi su quasi 4 mila posti disponibili.
Che significa il 5,2%; percentuale che sale al 6,6% (296 posti su quasi 4.500 incarichi) se si considerano anche le posizioni supplenti, dove le donne sono più presenti.
Le posizioni di primissimo vertice sono veramente poche: nessun presidente di consiglio di sorveglianza, un solo presidente onorario di consiglio di amministrazione (Elisa Lorezon in Stefanel), un solo consigliere di gestione (Emma Marcegaglia in Banco Popolare), due soli consiglieri di sorveglianza (Rosalba Casiraghi e Jonella Ligresti), tre vice presidenti e amministratori delegati (Giulia Ligresti, Donatella Ratti, Manuela Giorgetti), nove soli amministratori delegati...
Nelle aziende piccole e medie non quotate la presenza di donne nei cda aumenta con l’aumentare delle donne azioniste — come dice un’analisi realizzata da Daniela Montemerlo, professore associato all’università dell’Insubria e docente della Sda Bocconi — mentre si riduce quando la proprietà diventa più frammentata.
Favorevole a un utilizzo «soft e a tempo» di meccanismi coercitivi «che consentano di sbloccare un sistema sistematicamente bloccato come l’Italia» è anche il docente Maurizio Ferrera. E cita la Spagna che ha scelto una strada diversa dalla Norvegia, pur con gli stessi obiettivi, e dove per esempio non ammettono alle gare per appalti pubblici le aziende private che non rispettano certe quote o che non predispongano piani per garantire l’accesso delle donne al vertice. Quella Spagna che ha appena dichiarato di aver superato l’Italia nella crescita.
http://www.corriere.it/economia/08_g...ba99c667.shtml