Willer Bordon si è dimesso dala carica di senatore.
Alle ore 13.40 ha consegnato la sua lettera di dimissioni dal Senato nelle mani del Presidente Franco Marini
“Così non si può più andare avanti: siamo giunti al punto di rottura!”.
Così il sentore Willer Bordon inizia la sua lettera di dimissioni indirizzata e consegnata questa mattina al Presidente del Senato Franco Marini.
“Il mio non è un atto di rassegnazione, né tantomeno un gesto aventiniano” – spiega il senatore – “ma un atto forte di testimonianza di chi sente il dovere di difendere le istituzioni dalla deriva di sfiducia che investe la politica”.
Bordon ricordando che “la ‘prima Repubblica’ è crollata sotto il peso della sua insipienza, della sua arroganza, dell’abbandono di qualsiasi etica della responsabilità nel governo della cosa pubblica”, afferma che “la seconda, forse mai nata, rischia di implodere drammaticamente nel riprodursi statico e ormai francamente non più sopportabile di un rito già inaccettabile quindici anni fa”.
“Sono entrato in Parlamento nel 1987” – continua - ed una parte dell’attuale classe dirigente politica già vi era presente ed è rimasta sostanzialmente la stessa, costituendo oggi un vero e proprio ‘tappo’ al ricambio generazionale”.
“C’è un vuoto di credibilità di un intero gruppo dirigente. Oggi la politica” – sottolinea il senatore dimissionario – “è spesso autorappresentazione di interessi personali o al massimo di una nomenclatura nella quale la dimensione dell’interesse di ‘casta’ finisce a volte per essere cemento superiore alle formali divisioni dello scacchiere politico”.
“La gente sembra dirci: non ci fidiamo più di voi. Andatevene tutti a casa. Certo, c’è in questo una pulsione pericolosa, ma sarebbe sbagliato confondere la causa con l’effetto. L’antipolitica non è il contrario della politica, ma è il prodotto della cattiva politica”.
“Ecco perché, dunque, giungo a questo gesto: con una facile rappresentazione mediatica potrei dire ‘esco dalla Casta’. Ne esco rinunciando a qualche privilegio e senza contropartite perché la politica si è fatta essa stessa prigioniera della sua più odiosa rappresentazione”.
“Mi dimetto, dunque, convinto che conti agire, oltre che predicare, per smuovere e rinnovare un ceto politico invecchiato e chiuso e per esprimere la consapevolezza che il nuovo non può nascere dal vecchio”.
“Da cittadino che lavora, da cittadino normale: sarà dal territorio che ripartirò” – conclude Bordon – “Attento in particolare a quel versante dei consumatori e della città di Roma che costituiscono i miei impegni più presenti. Lì mi si potrà trovare”.