Credo che buona parte dei forumisti abbia visto almeno una volta il film “Amici miei”, anzi, alcuni conoscono a memoria intere sequenze, perlopiù circoscritte agli aspetti prevantemente più comici o surreali della pellicola, e spesso le citano nel forum…
Come sappiamo, il film ha avuto due seguiti, a mio avviso meno felici del primo ed entrambi improntati ad esaltare gli aspetti goliardici del gruppo di buontemponi fiorentini. Si è purtroppo persa nei due seguiti quella vena amara che resta sempre in sottofondo nel primo, si è persa soprattutto perché nei due seguiti è mancata la mano felice di chi aveva scritto soggetto e sceneggiatura del primo film, e che, se la sorte fosse stata più benigna, l’avrebbe pure diretto: Pietro Germi.
Germi, grande cineasta, autore negli anni ’50 di buoni film a sfondo sociale, si era poi convertito alla commedia di costume girando alcuni film memorabili sia per le interpretazioni che per il feroce sarcasmo con cui venivano messi alla berlina usi e costumi dell’Italietta borghesuccia, provinciale, democristiana e conservatrice di allora: “Divorzio all’italiana”, “Sedotta e abbandonata” e “Signore e signori” sono passati alla storia soprattutto per il mirabile tratteggio di personaggi filmati da Germi con dissacrante ironia.
Così doveva essere anche per il suo film-apogeo, appunto “Amici miei”, dove Germi intendeva portare fino all’estremo la sua convinzione di fondo, ovvero: il mondo è fondamentalmente stupido, governato da stupidi e pieno di regole stupide. Nonché irto di ostacoli e di paure, gli uni e gli altri guarda caso spesso frapposti e instillati da altri stupidi.
Come difendersi, allora, dall’amarezza recondita del vivere?
Buttandola in ridere, certo, ma anche, con sublime perfidia, difendendosi dagli stupidi.
Come?
Con la cattiveria, con l’uso preciso, scientifico, calcolato, intelligente della cattiveria.
Questo è il lato vero, amaro e realistico di “Amici miei”, quello che voleva Pietro Germi, e che Mario Monicelli seppe credo trasfondere al meglio nella pellicola, forse in memoria dell’amico e ispiratore.
Nel mondo stupido governato da regole stupide, e nel quale la sorte ci colpisce comunque ed inesorabilmente, prendersi gioco degli imbecilli, canzonare i burocrati, demolire le certezze, irridere tutto e tutti diventa una forma di difesa, e l’uso consapevole della cattiveria diventa allora, paradossalmente, l’uso di una forma di libertà, forse l’unica libertà rimasta per aiutarci a cogliere il meglio che la vita può offrire.
Si pensi al Sassaroli, il chirurgo, l’ultimo entrato nella compagnia: perché vi entra, perché viene accettato? Perché, da cattivo, cinico e disilluso, riesce a meritare in pieno la fiducia degli altri quattro quando convince il Melandri ad abbandonare l’ex-moglie isterica, figlie, governante e cane.
Via, via tutto, senza pensieri, via dalla meschinità quotidiana, tanto la morte, (come il Perozzi dimostrerà) arriverà comunque, per tutti.
Il messaggio di fondo del film voluto da Germi – e studiato secondo la sua personale visione- credo sia proprio questo: viva la cattiveria, se questa riesce a tirar fuori il meglio di noi.
Ma la cattiveria (intelligentemente usata) può effettivamente essere il mezzo per rendere la vita più lieve o la visione di Germi era troppo ai limiti?