Due fratelli, distanti per età e successo nella vita, entrambi con problemi in famiglia, entrambi in guai finanziari. Il maggiore e più determinato dei due propone all’altro l’idea pazzesca che li toglierebbe dai pasticci: rapinare la gioielleria gestita dagli anziani genitori, situata in un quartiere periferico di New York. Il rischio sarebbe nullo e il danno per i genitori inesistente, considerata la copertura assicurativa che li ripagherebbe.
Questo il preambolo intuibile dopo poche sequenze, visto che la trama del film non segue una successione cronologica.
Dopo un “infuocato” inizio, il film infatti entra nel vivo proponendo fin da subito la scena della rapina. Da questa scena, attraverso un gioco di flashback, di inquadrature riproposte da altre angolazioni, inserendo nella storia nuovi tasselli e nuovi personaggi in modo da fornire allo spettatore tutte le informazioni necessarie a chiarire il quadro degli eventi e i rapporti tra i protagonisti, il film sviluppa in un crescendo emotivo e drammatico di notevole intensità una sconvolgente tragedia familiare.
Servendosi di un cast di ottimo livello, l’ultraottantenne Sidney Lumet dirige con grande mano, perfetta scelta di tempi narrativi ed eccellente impatto scenico quello che, a mio avviso, è uno dei migliori thriller degli ultimi anni.
La dilettantesca rapina rimanda al suo famoso “Quel pomeriggio di un giorno da cani”, mentre diverse scelte di regia, di ripetizione delle inquadrature, di scomposizione cronologia degli eventi ci riportano fino al mitico “Rapina a mano armata” di Kubrick.
Globale ****