Da piccolo mi recavo nel paese dei miei genitori, qui avevo uno zio che lavorava nei campi e talvolta accadeva che lo accompagnassi. C'era un aspetto della gita che consideravo gratificante, cogliere e mangiare la frutta dagli alberi.
Nella tenuta c'erano: gelsi neri, fichi, albicocche, uva, e mi pare mele. Il mio piacere era cercare fra i rami la frutta matura quindi coglierla e mangiarla. Accadeva a volte che dovessi arrampicarmi sui rami o più semplicemente tendere le braccia. Notavo sempre come per terra, intorno all'albero, c'era molta frutta, caduta chissà perché: forse il vento, forse un picciolo non robusto, forse gli uccelli..
Della frutta sui rami taluna non sarebbe mai maturata poiché il sole era ostacolato dalle foglie. Qualche volta ispirato da una strana forma di "pietà" toglievo le foglie così da permettere ai raggi del sole di raggiungere quei frutti oscurati, ma dopo un po' smettevo era un lavoro improbo non sarei mai riuscito a svolgerlo per tutti i frutti.
Altri frutti, poi, pur trovandosi in posizione favorevole comunque non avrebbero raggiunto il loro compimento perché non erano alimentati sufficientemente dalla linfa, il ramo era striminzito. Altra frutta ancora pur avendo il favore del sole e la robustezza del ramo era stata attaccata dagli insetti; cosicché constatai che solo una parte della frutta compiva il ciclo naturale in pienezza.
Allora m’interrogai, la frutta buona da mangiare poteva ascrivere a sé il merito del compimento corretto del ciclo? E la frutta immangiabile poteva imputare a sé la mancata compiutezza?