Ce lo ricordavamo così:
e si stringe il cuore quando sul palco si presenta così:
Il passo esitante, gli occhi quasi completamente chiusi, ormai è praticamente cieco, come è destino per gli albini. Ma quando si siede e poggia le dita scheletriche, simili a quelle di E.T., sulla chitarra, è subito tutta un'altra musica. E che musica.
Non avrà più vent'anni, non riuscirà più a fare quei medley di venti minuti con tutti i classici del rock suonati alla velocità della luce e urlati a squarciagola. Ma il suono c'è ancora, duro, cattivo, tagliente. Blues.
C'è più energia in due minuti di questo sessantaquattrenne che si regge in piedi a stento che non in tutto un cd di qualche debosciata boy band dei giorni nostri. Un'ora e mezzo abbondante di viaggio tra i deserti del Texas e le paludi del Mississippi, con il pubblico che applaude e balla sulle note del boogie e di una "It's all over now" degli Stones rifatta come si deve, bella incazzata e trascinante.
Thank you, Johnny.