Come molti di voi qui sanno, ho avuto l'onore di scrivere insieme al caro amico Giulio Cavalli, attore e autore, uno spettacolo contro le mafie, intitolato "Do ut Des, riti e conviti mafiosi", prodotto tra gli altri dal Comune di Gela nella persona del suo sindaco Rosario Crocetta, il sindaco anti-mafia per eccellenza.
Stanno arrivando delle minacce, da qualche tempo. In concomitanza con le repliche ci sono stati alcuni episodi spiacevoli. Finora la preparazione della tourneé è andata avanti in silenzio, nonostante questi episodi, senza cercare facile pubblicità.
All'improvviso è uscito sui giornali locali e la stanno riprendendo in questi giorni altre testate più grandi.
Ne ha parlato Repubblica, domenica, e la cosa che mi ha stupito è sentire di solidarietà che arriva da lontano, dalla Sicilia, da Roma, e i bifolchi locali o tacere o insinuare addirittura che le minacce siano finte. Come se la questura muovesse una scorta solo per assecondare il marketing di uno spettacolo. Questo è un atteggiamento mafioso, che fa più male perché arriva da dove non te l'aspetti: da un territorio che pensa di essere immune dalla mafia, pensiero che accomuna qualsiasi cittadino del nord Italia. Stupidamente.
Quindi due "come volevasi dimostrare", ne ricavo, da tutto questo: che la mafia è una questione culturale, che alberga dentro di noi, ogni volta che vogliamo non-vedere e non-sentire; e poi che avevamo ragione a dire che per combattere la mafia bisogna ridicolizzarla, toglierle l'aura di rispetto che si è costruita attorno nei decenni. Chi si prende troppo sul serio, è destinato ad essere sconfitto. Da una risata (;