Ieri mattina, in una bella giornata dall’aria abbastanza autunnale, ho ripercorso in MTB una stradella che faccio spesso, ma che quest’anno non frequentavo più dall'inizio di primavera.
L’ultima volta mi ero arrabbiato, con mio grande disappunto qualcuno aveva tagliato le grandi acacie che, fiancheggiando un tratto di percorso, gli davano un aspetto suggestivo.
Tornandoci ieri, ho visto che non solo dai ceppi sono spuntate nuove piante, già arrivate ad una buona altezza, ma che la vegetazione di sottobosco, prima trattenuta dai grandi alberi, ha invaso prepotentemente quasi tutta la sede stradale, lasciando una striscia libera di non più di 30 centimetri, sulla quale si passa a stento facendo lo slalom tra cespugli e rampicanti.
Così ho pensato a quanto è forte e caparbia la natura e quanto siamo piccoli noi uomini che tentiamo di piegarla alla nostra volontà. Ho anche immaginato il mondo quando non ci saremo più, perché non credo che l’uomo riuscirà a dominare in eterno questo pianeta. Un tripudio vegetale, città e manufatti ricoperti di verde, il cemento e l’asfalto che si sgretoleranno e solo le vecchie costruzioni in pietra, alla fine, rimarranno a ricordare che c’eravamo.
Mi è venuto in mente un vecchio e splendido racconto di fantascienza, “Anni senza fine” di Clifford D. Simak, una sorta di profezia malinconica sul futuro della Terra, quando, dopo la scomparsa degli uomini, i robot aiuteranno i cani a evolversi in una specie intelligente, specie che sarà infine soppiantata dalle formiche. L’uomo, nel romanzo, diventa una leggenda che i Cani anziani tramandano ai nipoti, con l’avvertenza di non prestarvi comunque troppa fede, e di godersi la fantasia del racconto…
Chissà se sarà così.
Ci interroghiamo spesso su chi siamo e su che senso abbia la nostra vita, ma non pensiamo mai che non siamo né gli unici né i migliori su questo pianeta. Forse sarà l’orgoglio a fregarci, e al resto penserà la natura, eterna, indifferente e meravigliosa.