“Fai la cosa sbagliata”
Si può condensare così, in una riga, questo “Miracolo a Sant’Anna” di Spike Lee.
Il regista americano è diventato famoso per alcuni ottimi film sulla condizione degli afroamericani negli USA. In questo film ha tentato di trasportare parte della loro sofferta storia nel teatro della Seconda Guerra Mondiale, tra gli uomini della 92a divisione di fanteria dell’esercito americano, la divisione “Buffalo” formata tutta da afro-americani di ogni parte degli Stati Uniti.
L’altro intento del lavoro di Spike Lee è stato quello di dimostrare che in guerra non esistono buoni da una parte e cattivi dall’altra, ma che ci sono uomini buoni e cattivi sia dall’una che dall’altra parte. Il che è ovviamente una scoperta dell’acqua calda, che diventa però una mina micidiale quando un nero americano che della nostra storia ha una conoscenza approssimativa, si sogna di collocare un pentolone del genere sul fronte italiano, in mezzo ad americani, civili, partigiani, fascisti e tedeschi, in quello che è stato uno dei fronti di guerra più politicamente complessi della storia, anche oggi foriero di polemiche continue e mai sopite.
Il film di Spike Lee è un pasticcione gigantesco, pieno di stereotipi e in cui si mescola di tutto: inizia con una improbabile omicidio commesso con altrettanta improbabilità in un ufficio postale di New York, e con un lungo flashback ci trasporta nell’alta Toscana, sul fronte del fiume Serchio, in mezzo ai neri della 92a che dovrebbero attraversare il fiume ma vengono massacrati dai tedeschi. Quattro di loro si trovano sulla sponda nemica e raggiungono fortunosamente un villaggio di montagna dopo aver raccolto un vaneggiante bambino. Nel villaggio di montagna Spike Lee tenta di raccontare in modo altrettanto improbabile i rapporti tra italiani, americani e tedeschi, ci mette in mezzo il razzismo tra americani bianchi e neri, lo spiritualismo religioso, il cameratismo tra neri di Brooklin e montanari dell’alta valle del Serchio, (che si intendono benissimo tra loro nella stessa lingua (!) come quattro amici al bar), la rievocazione della strage di Sant’Anna di Stazzema che arriva ad attribuire ad una rivalità personale tra due partigiani (!), l’amore tra i neri e la bella del paese vestita di lana grezza ma perfettamente truccata come una velina…fino alla conclusione del racconto circolare, di nuovo a New York, e infine su una spiaggia tropicale.
Sono 144 minuti di film, veramente sprecati sia dal punto di vista cinematografico che storico in un’opera che comprensibilmente ha già destato polemiche, ed è un peccato perché le scene di guerra (ottime, splendidamente riprese) dimostrano che la mano c’era ma che ci si è veramente allargati troppo (e male).
Globale **