Torre Annunziata, 1985, gli anni della ricostruzione dopo il terremoto, anni in cui fiumi di soldi si riversavano nelle casse comunali e da qui attraverso gare d'appalti truccate e prestanomi dritte nella mani della camorra. L'amministrazione pubblica corrotta, la camorra che, senza freni, trasforma le strade delle città in mattatoi dove regolare i conti per la spartizione del territori, i magistrati pavidi, le forze dell'ordine impotenti a cui resta solo da raccogliere i cadaveri. E un giornalista, Giancarlo Siani, 26 anni, un cronista "abusivo" de Il Mattino che si dovrebbe occupare solo di nera eventualmente legata alla camorra ma finisce per interessarsi alla camorra nella sua totalità e ai suoi affari. E finisce per farsi ammazzare.
Forte Apache, il west senza regole dove vige la legge del più forte, con il battaglione di cavalleria asserragliato nel fortino e fuori qualche sparuto civile che resta a difendere la sua terra. Non era un eroe Giancarlo Siani, era un ragazzo che voleva fare il giornalista e pensava che fosse suo dovere andarsele a cercare le storie da scrivere invece che aspettare ad una scrivania che gli consegnassero delle veline. Risi racconta la sua storia venandola di ironia e voglia di vivere e paradossalmente di speranza in un futuro migliore per i giovani della sua generazione. E la mescola ad un gangster movie violento e convulso, quasi grottesco e venato di kitsch.
Un film asciutto ed essenziale del quale restano impresse le immagini degli sfarzosi palazzi del potere e dei boss contrapposti agli edifici sventrati dal terremoto, le roulotte dei terremotati, i detriti sulle spiagge. E un ragazzo che gira per le strade su una jeep verde alla ricerca delle storie, dei fatti, delle vite perdute e rubate, compresa la sua.