Le dolci e narcotiche note di un sax ci accompagnano in un viaggio temporale e onirico nel profondo cuore del continente africano, più precisamente in etiopia, dilaniata prima dalle invasioni coloniali dell'esercito italiano di mussolini e poi da guerre fratricide permanenti, all'indomani della rivoluzione marxista che pose fine al regime imperiale.
Scordatevi le paradisiache immagini dell'africa delle agenzie di viaggi. La terra che il regista hailè gerima ci mostra (premio speciale della giuria e miglior sceneggiatura originale a Venezia) ha più a che fare con un girone dei dannati, tra i fumi vomitati da aridi altipiani che si estendono a vista d'occhio sotto un sole cocente, dove l'economia gira ancora attorno a ragazzi che conducono mucche scheletriche alla stanca aratura, nelle caverne illuminate dal fuoco, nei colorati villaggi dove il tempo è scandito dalla superstizione e da una tradizione orale millenaria. L'origine dell'uomo. L'alba dei tempi. L'exscursus storico in Teza bisogna farlo partire da qui - o forse finire - prima ancora della lunga scia di sangue che le guerre moderne si sono portate dietro.
Cosa resta da salvare in questa bolgia dantesca per poter guardare al futuro con una speranza? L'umanità, come sempre, che si riflette negli occhi neri e profondi dei protagonisti, quegli attori in gran parte non professionisti che non possono non richiamare l'abbruttimento e l'ingenuità della poesia della realtà di pasoliniana memoria.
Evitando di cadere nella trappola dell'inconcludenza artistica della fredda cronistoria del recente "che - l'argentino", teza è un mirabile incastro tra invenzione e vicenda storica che lo eleva a miglior opera vista nel 2009.
Magnifico.