ROMA (21 luglio) - Le mie parole non vogliono urtare la sensibilità di chi è stato colpito negli affetti, ma vogliono essere ascoltate da chi deve dare una risposta riflessiva, saggia, giusta alla vita. Chiedo scusa della pubblicazione della mia lettera alla famiglia Sandri, ma le parole e il dolore dei miei figli vorrei che venissero ascoltate.
Queste mie parole le rivolgo proprio alla famiglia del giovane Gabriele Sandri; in particolare modo al padre del ragazzo. Ho letto della sentenza. Ho compreso la sua reazione. Non ho condiviso né accettato la reazione violenta di alcuni ultrà. Io e i miei figli abbiamo conosciuto troppo presto il dolore. Conosciamo il razzismo e l’odio per la divisa. Conosciamo la violenza diretta e indiretta di alcuni soggetti che si chiamano ultrà. Il suo dolore noi lo comprendiamo.
E’ un dolore conosciuto in molte famiglie. Il più della volte è un dolore “naturale”, che si presenta alla fine della vita, a volte è un dolore che nasce da una malattia sofferta, altre volte è un dolore che nasce da una tragedia. Qualunque sia il motivo d’origine è pur sempre un grande sentimento che diviene giorno dopo giorno più pesante da sopportare. Ogni volta che guardo gli occhi dei miei figli, noto un velo di tristezza. Provo rabbia e dolore. Ho rabbia per quello che hanno distrutto alcuni tifosi violenti. Nel giro di due ore hanno distrutto anni felici, 17 anni di vita vissuta insieme. Eravamo una bella famiglia.
E’ da questo dolore che nasce l’amore per gli altri. Perché nessuno possa vivere le nostre stesse emozioni, la stessa violenza, gli stessi dolori. Io e i miei ragazzi chiediamo giustizia, e vogliamo giustizia. La nostra non è da confondersi con la vendetta. Noi non vogliamo guerre e disastri. Penso che già ci bastino i disastri che si verificano naturalmente. A volte bisogna staccarsi dal proprio ruolo e guardarsi attorno. Nel rispetto della vita, nel diritto di un lavoro, nel diritto di vivere in una società civile la prego di considerare anche il ruolo del collega di mio marito.
Non giustifico il gesto né lo condanno. Consideri le sue parole e il suo ruolo e, mi creda, pensi la vendetta non ha fatto mai bene a nessuno. Le sue parole potrebbero essere il pretesto di ulteriore violenza. Io e i miei ragazzi rivolgiamo attraverso il quotidiano Il Messaggero le parole che ci sgorgano dal cuore. La vita è un dono, va vissuta nel rispetto delle regole per una civile convivenza, va amata e difesa. Lo Stato è una grande famiglia, e tutti ne facciamo parte. Parli con il cuore, la rabbia è cattiva consigliera e non placa l’animo di chi soffre. Spero che comprenda la mie parole. Con sentimento di amicizia