Probabilmente molti di voi hanno letto i libri di stieg larsson, lo scrittore svedese che con la trilogia della rivista millennium è stato uno dei più letti in europa negli ultimi mesi o visto al cinema il primo capitolo della saga "uomini che odiano le donne".
Io no, ma non stento a credere che la trasposizione cinematografica di questo "la ragazza che giocava con il fuoco" non renda merito all'indagine psico poliziesca che viene affrontata nel testo. Le mie sono solo supposizioni e quindi mi baso esclusivamente sul film, che peraltro vive di vita propria con un inizio e una fine - anche se allude a un terzo e ultimo episodio.
"La ragazza che giocava con il fuoco" è un thriller ben costruito, con molti punti oscuri, ambientato in una stoccolma che ha poco del remake di intrigo internazionale e molto del telefilm nordico preserale o delle serie delle squadre di indagine. Così come le inchieste del giornalista mikael blomkvist sulla tratta delle prostitute, che alzeranno un polverone nei piani alti del palazzo, mancano del fascino noir dei gialli d'autore.
Intendiamoci, gli ingredienti per restare incollati alla sedia ci sono tutti. Il problema è che i colpi di scena, le situazioni scabrose, le venature dark o le inevitabili scie di sangue, sembrano presi in prestito dall'immaginario cinematografico e miscelati insieme sortendo un effetto ridondante. Valgano per tutti il gigantesco personaggio biondo che sembra uscire da un film di 007 e la versione attualizzata di nikita impersonata dala sociopatica lisbeth, la protagonista interpretata dalla brava e tecnologica noomi rapace.
Un buon film senza stile, né più né meno.

Valutazione: ***