Case popolari
Un abusivo ha tentato di darsi fuoco e ha lanciato il liquido infiammabile contro due agenti a Niguarda
Benzina e minacce nel fortino del racket
Sei alloggi sgomberati e 15 persone allontanate dagli stabili “comprati” dai Pesco-Cardinale, arrestati a novembre.
«Mi do fuoco, giuro che mi do fuoco se non ve ne andate». Urla ai poliziotti e carabinieri che irrompono all’alba, nei casermoni popolari di via Padre Luigi Monti. Davanti ai loro occhi si versa addosso una bottiglia di plastica piena di benzina. Poi lancia il resto del liquido infiammabile contro due agenti. Fruga nelle tasche, cerca l’accendino per trasformarsi in una torcia umana. Ma gli uomini in divisa lo bloccano in tempo e lo ammanettano.
Dietro le sbarre
Ivan Castriotta, 32enne pluripregiudicato per reati contro il patrimonio e già sottoposto a sorveglianza speciale, è finito a San Vittore per violenza e resistenza a pubblico
ufficiale. È uno degli abusivi degli stabili Aler del quartiere Niguarda. Da qualche anno viveva con la madre in un bilocale. Loro sono alcuni dei quindici occupanti senza titolo sgomberati ieri, da sei alloggi ai civici 15,16, e 21. Quei palazzoni rosa, alti sei piani, passati alle cronache per essere il «fortino del racket» delle occupazioni abusive. Qui, per quasi vent’anni, le porte degli appartamenti si sono aperte con un piede di porco, in base a graduatorie “speciali”. E per anni, ad ogni blitz degli agenti del commissariato di Garibaldi Venezia e Greco Turro, sono seguiti insulti, minacce, intimidazioni e sassaiole. Spesso i poliziotti sono stati costretti a “ba ttere in ritirata”. Ieri erano in settanta a circondare i palazzi.
L’inizio delle indagini
Tutto inizia ad agosto scorso, com la signora «trovacasa» seduta al tavolino rosso di un bar, davanti a un caffè e a un pacchetto di sigarette, all'ombra di un tendone azzurro. Accanto a lei un "attore", in cerca di un alloggio popolare, da rubare a una delle 22mila famiglie in lista di attesa a Milano. Un appartamento che l'uomo avrebbe pagato dagli 800 ai 3mila euro.
Quel video-denuncia, pubblicato da Sos Racket e Usura, l'associazione di Frediano Manzi, aveva scatenato la bufera. Dopo tre mesi di indagini, la Squadra mobile arresta Giovanna Pesco, 57 anni, che tutti chiamavano «Gabetti». E con lei la figlia Anna Cardinale di 39 anni
(ora incinta e agli arresti domiciliari in un alloggio occupato abusivamente), e il genero
Omar Moreschi di 29.
L'operazione si è conclusa con 12 indagati a piede libero. Abusivi e pusher. Rimasti lì, in quegli stabili rosa. La 57enne era la mente che assieme alla figlia e al genero, sedicente segretaria la prima e imbianchino in nero il secondo, si servivano della "manovalanza" del quartiere. Piccoli
«padroncini», dove nulla passava senza la loro "benedizione".
Gli sfrattati di ieri
Gli sgomberati di ieri sono quasi tutti italiani. Amici e parenti della signora Pesco. Soltanto un appartamento era occupato da una donna di origine nordafricana e dal suo bambino.