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  1. #1
    Utente di HTML.it L'avatar di lnessuno
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    Disoccupazione giovanile e colpe delle famiglie

    Pubblico un post di un tizio che leggo sempre con piacere, anche se non sempre condivido ciò che dice:

    Oscar Giannino

    Viogliamo dirlo che in realtà gran parte della diosoccupazione giovabnile nel nostro Paese è figlia di un colossale errore culturale, più e prima che della debolezza del nostro tessuto produttivo? A me par proprio così, anche se è impopolare dirlo. E mi sembra sia confermato dall’indagine Excelsior Unioncamere rielaborata da Confartigianato di cui ha scritto oggi il Corriere della sera.

    Ogni anno, agli studenti in università, sottopongo questionari su svariati argomenti. Non sono tenuti a rispondere, e garantisco naturalmente l’anonimato, ma chiedo loro di farlo per consentirmi di conoscere meglio chi mi trovo di fronte, che cosa pensi e quali idee si sia fatto non solo delle materie che studia, ma soprattutto della professione per la quale ciascuno ha in mente di prepararsi, del mondo del lavoro e dell’Italia più in generale. Anno dopo anno, accumulo questi piccoli test su un campione di un centinaio di studenti quasi sempre alla fine della laurea di specializzazione, ragazzi che in media hanno più 26 o 25 anni che 23 o 24 come dovrebbe essere. Chiedo anche che esperienza di lavoro abbiano accumulato, chi di loro abbia trascorso almeno più di quattro settimane impegnandosi in lavori a tempo o part time, reperiti come e con quale soddisfazione. Il test comprende anche una domanda sulla prima retribuzione attesa, per un’eventuale occupazione a tempo indeterminato. E poi una sulla remunerazione che sarebbe da ciascuno considerata ragionevole e giusta per lavorare a tempo pieno, al di là di quella ottenibile.

    Nel mio campione annuale, gli universitari giungono a fine studi senza avere un’esperienza di lavoro vera in circa i due terzi dei casi, e in alcuni anni si sale addirittura a tre quarti. L’anno scorso, la media delle risposte alla domanda “ma tu quanto davvero riterresti giusto esser pagato, per un lavoro che credi di poter svolgere al meglio”, ha barrato la casella 2600-2800 euro. Netti, s’intende. Commentando, dissi scherzando che se mi indicavano in quale galassia stesse il pianeta in cui poteva avvenire una cosa simile, li avrei seguiti nel viaggio siderale. Seriamente, aggiunsi, le vostre aspettative sono così grossolanamente distanti dal vero perché conoscete poco la realtà del lavoro, ne avete un’idea sbagliata e per questo ancor più frustrante di quanto la realtà del mercato sia problematica in sé.

    E’ impopolare dirlo, in un Paese dove a prevalere – anche nell’informazione – è la continua denuncia del lavorio sfruttato, del precariato che rapina presente e speranze future di famiglia dei giovani, e delle imprese che pagano poco e vogliono molto. Ma a me sembra che la difficoltà del lavoro giovanile molte volte dipenda da altro. Da un enorme condizionamento culturale, figlio del balzo in avanti nel benessere avvenuto in una sola generazione – tra fine anni 70 e soprattutto negli 80 – mentre per altri Paesi ha richiesto decenni. Moltissime famiglie – anche tra i redditi medi e bassi – tengono artificialmente i propri figli il più a lungo possibile “protetti” da ogni esperienza concreta di lavoro, da ogni seria consapevolezza delle remunerazioni realmente percepite per mansione e qualifica. La licealizzazione e l’università di massa realizzano così un doppio paradosso: un esercito di studenti (e d’insegnanti) frustrati poi perché le scelte d’indirizzo non corrispondono affatto né alla realtà del mercato del lavoro italiano, né tanto meno alle sue remunerazioni, e insieme l’impossibilità di perseguire sul serio merito ed eccellenza.

    Non è solo il mio modestissimo test annuale, a comprovarlo. L’ennesima e ben più autorevole conferma è venuta da Confartigianato e dal rapporto Excelsior Unioncamere sulle difficoltà di reperimento di manodopera da parte delle imprese italiane. Apprendiamo così che se la disoccupazione è oggi all’altissima percentuale del 27,9% per i giovani tra 15 e 24 anni, essa al nwetto di un problema forte che continua a sussistere al Sud potrebbe praticamente azzerarsi o quasi altrove se solo formazione e aspettative dei giovani fossero indirizzate al mondo del lavoro vero, e non a uno che non c’è se non nelle menti delle loro ipertutelanti famiglie. Perché anche in questo difficile 2010 il 26,7% del fabbisogno di lavoro delle imprese italiane risulta insoddisfatto. Al vertice della classifica dei lavori rifiutati dai giovani, qualifiche tecniche come quella di installatori di infissi, panettieri e pastai, tessitori e maglieristi, addetti all’edilizia e pavimentatori, falegnami e verniciatori, saldatori e conciatori. Come si vede, qui non stiamo parlando di braccianti o muratori non specializzati, ma di quella che per secoli è stata l’aristocrazia del lavoro artigianale e d’opificio, tramandata con lunghi tirocini per la formazione di un capitale di conoscenza che non è solo manuale, ma interagisce oggi con macchinari e processi avanzati e specializzati.

    In Germania questo non avviene, perché quel Paese ha avuto la lungimiranza di mantenere un canale di formazione professionale ad alta priorità nelle scelte sia dell’istruzione pubblica che delle famiglie. Dipendesse da chi scrive, parificherei in tutto e per tutto il tirocinio e l’apprendistato nelle piccole imprese, in quelle artigianali e di commercio, al titolo professionale dispensato dal sistema pubblico, oggi scartato dal più delle famiglie e dai giovani ignorando che retribuzioni per mansioni tecniche specializzate sono superiori a quelle impiegatizie a cui i laureati finiscono spesso per incanalarsi, pieni di delusione.

    Ma non bastano solo le riforme ordinamentali e della formazione. Ciò che serve davvero è un cambio di mentalità. Ed è l’intero Paese a doverlo fare. Riconciliarsi con il lavoro vero significa spingere i figli fin da giovanissimi a sporcarsi le mani, a non disprezzare la manualità, a mettersi alla prova, a uscire di casa anche dieci anni prima di quanto ormai capiti. Apriamo tutti gli occhi, questa deve essere la parola d’ordine. Se in larga misura la disoccupazione giovanile deriva da un difetto percettivo, l’incapacità di vedere è nostra, non figlia di un destino cinico e baro.

    Quanto sopra è una cosa che penso da tempo.. troppa gente che va all'università per rimandare l'ingresso nel mondo del lavoro, e quando ne esce disprezza lavori che sono assolutamente dignitosi ma manuali, che spesso farebbero guadagnare anche ottimi soldi. Che ne dite?

  2. #2
    Moderatore di CMS L'avatar di kalosjo
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    residenza
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    Eh si. La disoccupazione è proprio colpa di mammà e papà......

    E siccome dati alla mano aumenta anche quest'anno, ci mettiamo anche zii e nonne tra due o tre uscite del Giornale....
    Scusate i puntini di sospensione...... La verità è che non ho argomenti....

  3. #3
    Utente di HTML.it L'avatar di miki.
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    Se sono andato all'università spero di trovare un lavoro in quel campo altrimenti andavo direttamente a lavorare al panificio.
    Il problema è che molti non si rendono conto che all'inizio bisogna fare la fame per fare esperienza nel campo che interessa, mentre molti pretendono di comandare solo perché hanno un titolo di laurea.
    You cannot discover new oceans unless you have the courage to lose sight of the shore

    Caro Dio, quando nelle preghiere ti chiedevo di far morire quel pedofilo truccato, liftato,mentalmente disturbato e di colore indefinibile, non intendevo Michael Jackson.

  4. #4
    Utente di HTML.it L'avatar di lnessuno
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    Originariamente inviato da kalosjo
    Eh si. La disoccupazione è proprio colpa di mammà e papà......

    E siccome dati alla mano aumenta anche quest'anno, ci mettiamo anche zii e nonne tra due o tre uscite del Giornale....
    ecco il riassunto per chi come te non ha voglia nemmeno di leggere nemmeno il nome dell'autore, figurarsi il resto del post:
    Passa ad un altro thread

  5. #5
    tutti questi neo laurati sono convinto che vogliano diventare tutti dei top manager, architetti, pubblicitari di successo, ma come faranno quando il papi non darà più la paghetta settimanale?
    Prima vedevo.. ora ero cieco!! http://www.youtube.com/watch?v=Y1RWxPMSe3E

  6. #6
    Utente di HTML.it L'avatar di wallrider
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    il messaggio di kalosjo, al di la del sarcasmo, è condivisibile.
    se hai pazienza più tardi approfondisco, ora devo scappare
    RIP Cicciobenzina 9/11/2010

    "Riseminaciceli, i ceci nell'orto"

  7. #7
    Concordo in buona parte con l'articolo, tranne naturlamente il messaggio:

    c'è disocuppazione= colpa dei giovani che non vogliono lavorare


    Epico un mio conoscente: si è fatto mantenere all'uni fino a 33 anni, non si è laureato e adesso inzia a lavorare in un supermercato.

    Quando ho inziato l'uni, mio padre mi ha concesso tre anni per laurearmi: mi sono laureato in 2 anni e 10 mesi e ho iniziato a lavorare dopo 5-6 mesi. E la stessa cosa vale per mia sorella, che probabilmente si laurerà in 3 anni anche lei.
    La differenza fra un cammello e un uomo? Il cammello può lavorare una settimana senza bere. L'uomo può bere una settimana senza lavorare. (Julian Tuwim)

    A casa mia non si mangia mai a stomaco vuoto!!!

  8. #8
    Utente di HTML.it L'avatar di Mashin
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    Non e' solo colpa dei giovani, ma anche delle famiglie che permettono questo.

  9. #9
    E del sistema che non interfaccia come dovrebbe scuole ed università, col mondo del lavoro?

    Stage, progetti, studenti che lavorino in azienda per un certo periodo...

    Quanto pensate che aumenterebbe la consapevolezza dei giovani un certo tipo di esperienza?
    Ciao!

  10. #10
    Originariamente inviato da MrCocò85
    Concordo in buona parte con l'articolo, tranne naturlamente il messaggio:

    c'è disocuppazione= colpa dei giovani che non vogliono lavorare


    Epico un mio conoscente: si è fatto mantenere all'uni fino a 33 anni, non si è laureato e adesso inzia a lavorare in un supermercato.
    come ha fatto a non laurearsi a quell'età?
    Prima vedevo.. ora ero cieco!! http://www.youtube.com/watch?v=Y1RWxPMSe3E

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