I pugni in faccia fanno male. Ma qualcuno dirà che Capezzone se l'è cercata. Questo è un Paese strano. Ci sono anni in cui sembra che si possa convivere bene o male. Qualcuno azzarda la ricostruzione di una memoria comune. Cioè, mettiamoci d'accordo su quello che è successo e facciamo pace. Tutti libertari, tutti aperti al dialogo, tutti come Voltaire: «Non condivido ciò che dici ma morirei perché tu possa dirlo».
Passano un paio d'anni e una manciata di stagioni e si torna sulle barricate. Voi qua e noi là e giù schiaffi, insulti, pregiudizi e maledizioni. Voltaire finisce di nuovo in soffitta. Il bello, o il brutto, è che non si litiga sempre per lo stesso motivo. Questa volta, per esempio, non si può neanche dire che a darsele sono rossi e neri, guelfi o ghibellini, sinistra e destra.
Qui lo scontro ideologico, viscerale più che razionale, ha a che fare con Berlusconi. Sei berlusconiano o no? Non c'è neppure una via di mezzo. Tipo, guarda che non voto da quindici anni. Niente. La costante resta sempre la stessa. Gli italiani non litigano per un motivo ideale, ma per una differenza antropologica.
Il risultato è che i buoni sono sempre gli stessi, appartengono sempre alla stessa razza di moralisti, incazzati, presuntuosi, che vogliono salvare il mondo dai suoi peccati. I cattivi invece cambiano in base alla sorte o alla storia.
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Feltri lo dice subito a modo suo: «I giornalisti antiberlusconiani sono buoni, meravigliosi, in grado di conquistare i posti migliori. Si proteggono, sono protetti da tutte le associazioni di categoria, i partiti di riferimento li coccolano, mentre gli altri sono cafoni, buzzurri, qualcuno perfino puzza, dicono che puzza».