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Discussione: rosy la verginella

  1. #1

    rosy la verginella

    Don Verzè: “Così mi hanno costretto a vendere il San Raffaele di Roma” - IL GIORNALE (25.08.2004)
    “Costretto a vendere l’ospedale agli Angelucci”
    Don Verzè racconta in un libro la vicenda del San Raffaele di Roma. “La Bindi mi disse: lei deve lasciare la capitale”

    Alle radici di Sprecopoli. Scavando nel passato è facile trovare reperti molto interessanti e storie mai raccontate dai protagonisti. Una delle più oscure e inquietanti riguarda la vendita dell’ospedale San Raffaele di Roma, un gioiello realizzato da Don Luigi Verzè sul modello milanese che il sacerdote fu costretto a cedere nel 1999 dall’allora ministro della Sanità Rosy Bindi. Pressioni, duri confronti, messaggi trasversali: tutto contribuì a far ritirare da Roma don Verzè, che alla città stava regalando un grande ospedale di stile americano.
    Politici, banchieri, imprenditori e decine di miliardi pubblici finiti in fumo. La storia è narrata direttamente dal protagonista nel libro “Pelle per pelle”, la biografia inedita di Don Luigi Verzè, scritta con il nostro Giorgio Gandola e pubblicata dalla Mondatori, che uscirà nelle librerie il prossimo sette settembre. Ecco alcuni brani del capitolo in cui si racconta la vicenda del San Raffaele di Roma.

    Simboli. All’ingresso dell’Ospedale S. Raffaele di Milano c’è un megalite di marmo rosso di Verona: raffigura la scena dell’angelo Raffaele che indica a Tobia come curare il padre che sta diventando cieco. E’ opera del Maestro Manfrini. Davanti al Dibit c’è la rappresentazione di un Sigillo alta dieci metri: è lo Jesus Deus Patient, il Dio che patisce, l’icona del medico-sacerdote. Nervosa e imponente, sul piazzale si staglia anche una scultura di Salvatore Fiume: è Tobia con il pesce, nelle viscere del quale caverà la medicina che salverà il padre. Il logo dell’università è l’uomo leonardesco con la citazione del Salmo 8: “Quid est homo?” (Cosa è l’uomo?).
    Infine, sul viale d’ingrasso dell’ospedale c’è un’enorme campana. Si chiama Laetitia, fu benedetta dal Papa ed era il simbolo del San Raffaele di Roma. Nella notte dell’11 giugno 1999 le ha fatto fare un viaggio da incubo sino a Milano. Non poteva lasciarla nelle mani del nemico. Così una pattuglia di operai guidati dal fidatissimo Mario Tolotti sono andati a riprenderla e a portarla a casa. E ora è qui a testimoniare (come il mausoleo del Vietnam a Washington) non una vittoria, ma una sconfitta. La grande sconfitta nella sua carriera di manager di Dio.
    Quell’albergo abbandonato nella zona di Mostacciano, acquistato a un’asta fallimentare nel 1983, dieci anni dopo sta per diventare un ospedale modello. Il più invidiato, il più celebrato, e in certi ambienti il più detestato di Roma. Il marchi di fabbrica è quello. E’ l’ultimo sogno di don Luigi: portare sotto il Cupolone la sua Opera per renderla immortale e avvicinarla ancor più a Dio. Ma Roma significa il confronto diretto con i palazzi della politica e con quelli vaticani.
    “ Nel 1994 il rettore dell’università la Sapienza, Tecca, e io ci scambiamo le lettere d’intenti per un accordo universitario. Tutti mi chiedono, in quegli anni, di portare anche a Roma la filosofia del S. Raffaele; io so perfettamente di correre il rischio di ricatti e veti, ma alla fine cedo. Nel 1997 il San Raffaele di Mostacciano è pronto e il ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer (governo Prodi) firma il decreto che sdoppia la costipatissima Facoltà Medica della Sapienza e colonizza il S. Raffaele di Mostacciano, la cui gestione rimane alla Fondazione Milanese. “Lei deve venire a Roma”, mi dice il ministro a cose fatte. E arriva a battere i pugni sul tavolo come fanno quelli che vogliono sottolineare l’importanza di un gesto”.
    L’ospedale è finito, arredato, dotato di strutture tecnologicamente all’avanguardia secondo il costume del San Raffaele. Sono già state assunte 150 persone e aperti i primi ambulatori. Sul fronte universitario, il nuovo rettore della sapienza, D’Ascenzo, firma il trasferimento dei docenti al San Raffaele: è l’avvio della seconda Facoltà di medicina.
    Vengono persino fatti i concorsi e selezionati i ragazzi che avranno la fortuna di poter frequentare il nuovo ospedale di Mostacciano. Tutto è pronto, ma stranamente non si parte. Eppure, nella capitale, un centro come quello sarebbe un prezioso regalo. L’Umberto I scoppia. In moltissimi ospedali mancano le tecnologie: per poter effettuare una Risonanza magnetica capita di subire trasferimenti da un ospedale a un altro. La Pet non esiste. Ogni ritardo, ogni intoppo, ogni ostacolo è uno schiaffo nei confronti di migliaia di cittadini malati.
    Non si parte perché mancano le convenzioni – puro ossigeno per un ospedale – e la Regione guidata da Piero Badaloni(Ppi) non le firma. Don Luigi s’accorge che qualcosa bolle in pentola e si precipita di nuovo dal ministro Berlinguer. “Gli faccio notare che ho speso 400 miliardi per realizzare l’ospedale e spendo milioni ogni giorno per i macchinari e per il personale. Com’è possibile che non arrivi il via libera? Lui allarga le braccia e mi dice con aria da sconfitto: “Ho fatto il decreto, che altro dovrei fare?”. Allora mi sovviene un episodio che avevo sottovalutato. Un giorno ero in Parlamento e stavo parlando con Berlinguer quando passa lei, Rosy Bindi, la ministra della Sanità. Berlinguer la chiama: “Vieni, c’è don Verzè”. Lei non si ferma neppure, ma accelerando sibila: “Non sono affari miei”. Neppure un saluto”.
    Adesso è tutto chiaro: la sinistra cattolica dossettiana e lapiriana, giustizialista e pauperista, egalitaria e autoritaria, è in trincea. Li chiamano cattocomunismi; sono i nemici più agguerriti e determinati che il San Raffaele abbia dai tempi di Bucalossi e degli schiaffi milanesi. E possono contare su buoni alleati in Vaticano. Di questo è convinto don Luigi. “Nel luglio 1998 mi chiama Cesare Geronzi, e mi avverte che Rosy Bindi vuole cacciarmi da Roma. Ma non si ferma qui, è mio amico e aggiunge: non è solo la Bindi a volerla distruggere, anche al di là del Tevere premono. Poi mi rassicura: li ho dissuasi dall’insistere nell’insidiarvi e ho detto che chi tocca il San Raffaele, tocca gli interessi della Banca di Roma”.
    Ma le pressioni diventano sempre più forti e don Verzè scrive sul diario: “Pende su di me l’immane sconfitta. Dormo poco, penso e tremo”. Ai primi di settembre il presidente del San Raffaele viene convocato da Rosy Bindi. Racconta lui: “L'appuntamento è per le cinque di pomeriggio a Roma. Arrivo e aspetto. Le sei, le sette, le otto. Alle nove ecco la Bindi. Si presenta e mi dice: "Lei deve andare via da Roma". Sei parole, è tutto. lo le rispondo: Per me è facile, prendo l'aereo, ma il San Raffaele resta dov'è. Allora lei affonda il colpo: "So bene che è la più bella struttura del Paese, ma Lei lo deve vendere a me, al mio Ministero". È l'unica cosa che non doveva dirmi, le rispondo triste e innervosito: "Ho costruito un tempio della medicina e della sofferenza e un sacerdote non può vendere un tempio. lo e lei non ci vedremo mai più". Me ne vado mentre la ministra borbotta qualcosa”.
    Sulle sorti del San Raffaele di Roma scende una cappa di pessimismo. Dopo quel gelido colloquio fra la ministra della Sanità e don Verzè anche i rappresentanti degli istituti di credito che finanziano don Luigi cominciano a fare strani discorsi. Annota lui: “Il presidente della Cariplo Giovanni Ancarani, mio ospite in cascina, ci squaderna una situazione di pericolo”. In caso di mancata vendita a Roma, esisterebbe la possibilità di un commissariamento a Milano. Il tono delle telefonate di tutti gli altri è questo: “Caro don Luigi, se per caso avete intenzione di non aderire all'offerta noi saremo costretti a tagliare i fidi bancari. E lei sa di quanto siete esposti con tutte le vostre iniziative”.
    E’ il momento peggiore, !'istituto si sente assediato anche dall'al di là del Tevere. Al Nunzio apostolico Andrea Montezemolo che gli chiede lumi sul destino della sua proprietà a Gerusalemme, don Verzè risponde piccato: “L'ex Gedda vada pure alla Cattolica, vi dono anche la mia proprietà di At-Tur, ma levate l'assedio al San Raffaele di Roma. E se così non sarà, venderò At-Tur agli ebrei». È una minaccia, perché gli israeliani stanno acquistando terreni sul monte Uliveto pagandoli anche cinque volte il loro valore pur di cacciare palestinesi e cristiani. Ma è vana anche questa.
    Don Verzè invita Giovanni Bazoli, stimatissimo uomo, oltre che banchiere, per capire i margini di manovra. Il consiglio è sempre lo stesso: “Venda”. “Lo accompagno alla macchina - ricorda il sacerdote -. E gli dico che siamo pronti a farlo, ma con dignità. Aggiungo che a me non interessa che servire Dio e i miei fratelli sofferenti. Poi gli ricordo che la nostra fondazione ha prodotto in interessi per la Cariplo di oltre 200 miliardi in dieci anni. Mi lascia con un sorriso amaro, quasi a rimarcare suo malgrado il prevalere della ‘ragion di Stato’”. Anche Geronzi ha capito che la lotta è impari e gli dice: “A Roma non vogliono il nome S. Raffaele e la sua gestione, caro don Luigi. La struttura piace molto, però Lei deve lasciarla e tornare a Milano. Ma si ricordi che io sono sempre con lei”.
    Il sacerdote coglie il messaggio. Prega. L'8 ottobre cade il governo per un voto. Per un attimo si riaccende la speranza. Ma Rosy Bindi viene confermata al ministero dal nuovo premier Massimo D'Alema. Scrive don Luigi sul diario: “Si avvicina il tempo della mia costrizione. Signore mi stai abbandonando? Con 15 anni di tenaci fatiche siamo riusciti a creare uno splendido ospedale in Roma. Tu vuoi distruggerlo?”.
    Lo Stato prepara una perizia, ma invece di affidarsi all'Ufficio tecnico erariale si rivolge a un privato adducendo motivi d'urgenza. Hanno lasciato languire la struttura per due anni e adesso hanno fretta, forse perché sono in arrivo le elezioni regionali alle quali si ripresenta Piero Badaloni (verrà battuto da Francesco Storace di Alleanza nazionale). La valutazione di questa perizia è 201 miliardi. Alla notizia don Luigi sobbalza sulla poltrona: ne ha spesi 350. Anche secondo i suoi esperti - l'inglese Ricbard Ellis e la società American Appraisal, i migliori del mondo - il San Raffaele di Roma vale molto di più, 340 miliardi per gli inglesi, 330 per gli americani. Ma la risposta della Bindi è lapidaria: o 201 miliardi o niente. E le pressioni delle banche si fanno via via più iugulatorie.
    Don Luigi è costretto a firmare un preaccordo per quella cifra, poiché l'unica alternativa sarebbe lasciar languire l'ospedale e licenziare 150 persone. Fra il preliminare e il contratto trascorrono due settimane, il tempo di convocare il consiglio d'amministrazione del San Raffaele. Mentre si attende l'ultimo atto, il telefono di don Luigi squilla e dall'altro capo del filo c'è Antonio Angelucci, un nome importante della sanità romana. La sua proposta è schietta: “Don Verzè, abbiamo saputo che la sua struttura di Roma è in vendita. Siamo interessati e vorremmo farle un'offerta: 270 miliardi compresi case e terreni sull'Appia Antica, Le vanno bene?”.
    Anche se a prima vista sembra un intervento a orologeria, per un religioso dovrebbe chiamarsi Divina Provvidenza. Il consiglio d'amministrazione decide di non rinunciare a 69 miliardi in più (nessuno l'avrebbe fatto) e vota il sì agli Angelucci. Un ospedale, più 130 ettari di terreno a verde all'interno del raccordo anulare, più una villa sull'Appia Antica con 15.000 metri quadrati di parco: purtroppo la valutazione è sempre bassa rispetto al suo valore. E non è finita: il ministero, in possesso di una lettera di intenti, firmata non da don Verzè ma da un consigliere, denuncia il San Raffaele per comportamento contrattuale scorretto e minaccia una causa civile chiedendo il sequestro giudiziale dell'ospedale.
    Di fronte all'ipotesi di cinque o sei anni d'attesa prima di una sentenza in Tribunale, il Consiglio della Fondazione accetta un accordo extragiudiziale: paga un indennizzo di sette miliardi al ministero e vende agli Angelucci.
    Ricorda don Luigi: “Hanno comprato sapendo di poter rivendere”. Dopo sei mesi gli Angelucci rivendono il San Raffaele per 320 miliardi allo stesso ministero della Sanità che lo aveva valutato 201, con una plusvalenza secca di 50. Quarantotto ore prima delle elezioni regionali, Rosy Bindi, Piero Badaloni e Lionello Cosentino (assessore regionale alla Sanità diessino) annunciano alla stampa: “Finalmente si apre al pubblico una struttura sanitaria che era bloccata da tempo”.
    Vero, ma bloccata da loro. C'è di più. Stiamo parlando di una struttura che, se non fosse stata palesemente osteggiata, avrebbe funzionato gratis, senza costringere lo Stato a sborsare 320 miliardi. Rimane in piedi una domanda: come mai per il ministero un ospedale vale 20 miliardi se a venderlo è don Verzè e ne vale 320 (sei mesi dopo) quando a venderlo è la famiglia Angelucci?





    urkasssss... ma saviano dove era?!?!? ah si c'era la'llarme alla democrazia

  2. #2

    Re: rosy la verginella

    Originariamente inviato da cicciopie II
    ...

    urkasssss... ma saviano dove era?!?!? ah si c'era la'llarme alla democrazia
    vuoi discutere dell'episodio? discutiamone, ma questo e' puro trollaggio gratuito

    se vuoi riaprire, riapri, ma parla dei coinvolti, anziche' sputare nomi a caso e saviano (come chiunque altro) coinvolgilo solo negli eventi che lo riguardano

  3. #3
    controllato: e' il secondo richiamo che ti faccio io http://forum.html.it/forum/showthrea...7#post13016837

    al prossimo sei fuori

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