L’omicidio colposo prevede una pena da uno a 5 anni, nella sua forma semplice. Il caso di Lupinetti, non ci sembra uno di quei casi “normali”. Insomma, sappiamo che restare uccisi in strada è ormai un rischio sociale. All’agente di Polizia Municipale che, a Firenze, uccise nell’aprile 2009 una ragazza travolgendola con l’auto di servizio, mentre stava espletando un servizio d’istituto, il GUP ha inflitto una condanna (con rito abbreviato e, dunque, ridotta di un terzo) a 2 anni e 8 mesi.
Certamente, l’agente ha le sue colpe e le pagherà tutte, potete scommetterci, ma non aveva bevuto, stava compiendo un servizio del proprio ufficio a tutela della collettività e, sicuramente, non si è accanito a calci sul corpo della ragazza. Eppure le aggravanti hanno superato le attenuanti.
Se l’investitore di Teramo, che per noi resta un pirata della strada, ha avuto una condanna a 8 mesi (patteggiata e, dunque, ridotta di un terzo), significa che si è preso il minimo, nonostante abbia violato molte altre norme del codice penale. Per esempio, aveva bevuto. Per esempio, ha preso a calci la sua vittima e pur non avendola uccisa a pedate, le avrà inferto lesioni, che sono volontarie e, dunque, perseguibili per legge.
Perché il minimo della pena? Quale differenza, nella sua condotta, con quella di una persona che, pur avendo provocato l’incidente mortale si sarebbe fermata a soccorrere la vittima, magari tamponando un’emorragia, praticare la rianimazione, chiamare i soccorsi o, anche, restare immobile?
Se si fosse comportato umanamente, sarebbe stato messo sullo stesso piano?
Se i calci ne avessero provocato la morte, lo avrebbero condannato ad una pena non inferiore a 21 anni: perché questa forbice?