Ancora una volta la sinistra monta una polemica sulla questione dell’election day. In altre parole, Bersani & co. si lamentano per lo spreco di milioni (300, secondo le loro stime) derivato dal mancato accorpamento di elezioni amministrative e referendum.
«Il Consiglio dei ministri ha anticipato il no all’election day, dicendo di no al voto sul referendum sul legittimo impedimento lo stesso giorno delle amministrative. Significa buttare dalla finestra 300 milioni di euro, unicamente per impedire che il referendum raggiunga il quorum» secondo Dario Franceschini.
Peccato che lo stesso illustre esponente del Pd dimentichi che
nell’istituto del referendum la questione della mancanza del quorum sia stata prevista per un motivo ben preciso: si ritiene infatti che se non va a votare almeno la metà degli italiani, il referendum debba decadere perché la questione non interessa agli elettori.
Ecco perché è giustissimo che nessun referendum (salvo quelli che non prevedono la questione del quorum) venga mai accorpato ad altro. Così come è giustissimo che i comitati antireferendari utilizzino come arma politica il richiamo all’astensione piuttosto che il voto contrario.
La questione dei 300 milioni poi è totalmente artificiosa. Intanto non sono soldi che vengono bruciati, ma vanno comunque ad aziende specializzate e scrutatori (per la maggior parte studenti, precari e disoccupati) che guadagnano un po’ d’ossigeno; e poi soprattutto non si possono buttare risorse per qualunque cosa e poi venire a fare la morale su una spesa che riguarda la democrazia del nostro paese solo quando fa comodo.
Invece sono 300 milioni ottimamente spesi. Sicuramente molto meglio per esempio dei 10 miliardi (iù di trenta volte tanto) buttati nel pozzo senza fondo della Salerno-Reggio Calabria, sulla quale vi invito a leggere una bellissima inchiesta di Repubblica.
Ma lì non si grida allo scandalo. Troppa fatica per poco tornaconto elettorale.