Il libro inizia con un racconto in prosa. Giobbe, servo di Dio, viveva ricco e felice. Dio permise a Satana di tentarlo per vedere se fosse rimasto fedele anche nella cattiva sorte. Colpito prima nei beni e poi nei figli, Giobbe accetta che Dio si riprenda quel che gli aveva dato. Ammalatosi di una malattia ripugnante e dolorosa, Giobbe rimane sottomesso e respinge la moglie che gli consiglia di maledire Dio. Allora tre suoi amici, Elifaz, Bildad e Zofar vengono a compiangerlo (capitoli 1 e 2). Giobbe e gli amici confrontano le loro concezioni riguardo alla giustizia divina. Elifaz parla con la moderazione che l'età gli ispira; Zofar segue gli impulsi della sua giovane età, mentre Bildad è un sentenzioso che si tiene su una linea media. Tutti e tre, però, difendono la tesi tradizionale secondo la quale se Giobbe soffre significa che ha peccato. Ma alle loro considerazioni teoriche Giobbe contrappone la propria esperienza dolorosa e le ingiustizie di cui il mondo è pieno; nella sua condizione di turbamento morale, il grido di rivolta si alterna a espressioni di sottomissione. A questo punto interviene un nuovo personaggio, Elhu, che dà torto sia a Giobbe che agli amici, tentando di giustificare la condotta di Dio. Viene interrotto da Jahve in persona che di mezzo al turbine, cioè nello scenario delle antiche teofanie, risponde a Giobbe. Il libro si conclude con un epilogo in prosa: Jahve rimprovera i tre interlocutori di Giobbe e rende a quest'ultimo, moltiplicandoglieli enormemente, i beni che prima dell'accaduto possedeva. Gli dona nuovi figli e figlie, queste in particolare di bellissimo aspetto 42,7-17.
..."e rende a quest'ultimo, moltiplicandoglieli enormemente, i beni che prima dell'accaduto possedeva. Gli dona nuovi figli e figlie, queste in particolare di bellissimo aspetto"...
Figli nuovi di zecca. Glieli ha rottamati insomma.