All’assemblea nazionale di domenica 14 Civati, Gozi e Vassallo presentano un ordine del giorno che chiede non solo che la norma sia rispettata – e non è così banale come dovrebbe – ma anche che la quota di deroghe, pari al 10 per cento del numero di eletti alle precedenti politiche, venga motivata per scritto, una per una, dai richiedenti, e discussa apertamente in Direzione, in base a regole certe e senza automatismi, accordi sottobanco o deliberazioni formalizzate a cose già fatte e decise altrove.
Per evitare di votare l’odg è stato preparato e messo ai voti un ordine del giorno scritto proprio dalla presidenza. Con un intento chiaro: una volta approvato, si sarebbe potuto dire – come accaduto in precedenza-, che non era possibile votarlo, essendo già stato approvato quello della presidenza sullo stesso argomento.
La presidenza prepara un odg – non distribuito in sala ma letto frettolosamente da Marina Sereni – che mette al riparo tutti coloro i quali sono da anni in Parlamento.
Il trucco è questo: sulla locuzione tre mandati ci sono due possibili interpretazioni: 3 legislature, oppure tre mandati “pieni”, ovvero 15 anni in Parlamento.
La presidenza ha risolto questo problema: nell’odg si parla esplicitamente di 15 anni, cosa che permette alla grandissima parte dei parlamentari del PD di mettersi in salvo. La legislatura del 2006, quella del governo Prodi, era durata solo due anni, tutti coloro i quali sono entrati in Parlamento nel 2001, e che sono quindi alla terza legislatura, ma non hanno superato i 15 anni in Parlamento, possono continuare a starci per un altro mandato.
Quindi i “bisognosi” di una deroga sono solo una trentina di deputati o senatori. Cioè il numero di deroghe che lo statuto permette.
Risultato in maniera ineccepibile l’odg della segreteria rispetterà alla lettera lo statuto.
Saranno inflessibili nel non tenere fuori nessuno dal parlamento.