Ieri l'ufficio di presidenza della Camera di Laura Boldrini ha accolto la richiesta del democratico Ivan Scalfarotto, omosessuale dichiarato. Favorevoli Pd, Pdl e Sel, astenuti Movimento 5 Stelle e Scelta civica; contrari Lega e Fratelli d'Italia. Scalfarotto - che è riuscito dove l'ex parlamentare pd Paola Concia aveva fallito - è convinto di aver fatto adottare per la Camera «un principio di civiltà che vale per tutte le casse sanitarie aziendali» e si augura che «l'equiparazione» sessuale venga estesa anche fuori.
Peccato che il Parlamento non sia un'azienda, ma un organo di rappresentanza che, in caso di mancata approvazione di una legge che sancisca questo diritto erga omnes, tradirebbe la propria missione; perché farebbe godere alla classe politica un diritto negato ai rappresentati.
Hanno infatti parlato di «privilegio» di «casta» anche quanti hanno applaudito, da Nichi Vendola (Sel) a Imma Battaglia (Gay Project); oltre, ovviamente, a chi ha votato contro, come la Lega e Fdi, o si è astenuto, come l'M5S, che ha ricordato la propria proposta di legge al Senato sui matrimoni gay.
In questa confusa (e un po' sospetta) corsa in avanti, persino Carlo Giovanardi (senatore Pdl) ha ricordato una sua proposta di legge (che però esclude il more uxorio). Ora tocca al Parlamento dimostrare che non si è trattato di un ipocrita gay pride di Palazzo.