Irene è una manager rampante, una vincente, a capo di una grossa società. La sua vita si svolge nelle modalità dettate dal suo ruolo: pochi scupoli e obiettivo sul profitto. Però, nel suo passato si celano alcuni aspetti traumatici relativi all'infanzia, che insieme ad un incontro particolare, le cambieranno radicalmente la vita. Un film, per storia e caratterizzazione dei personaggi, molto iconografico, ma che per certi aspetti indugia nello sterotipo e rischia di scivolare nel luogo comune. Per fortuna si può leggere anche altro. Va dato atto a Ozpetek di gestire temi come quello della santità e delle sue premesse, visitate ampiamente dalla religione e dalla letteratura, con l'occhio perplesso di chi osserva la realtà contingente. Il regista turco infrange i codici del comune senso della spiritualità, negandone l'esclusiva alle confessioni religiose, ammantandola di una veste universale. Il film denuncia l'assenza della provvide nza divina così come la racconta la dottrina, muove il dubbio, insinuando l'amnesia della divinità nei confronti dei derelitti: l'inferno è già su questa terra. Esemplare la scena girata nella zona di Roma che accoglie i barboni nei tubi di cemento, ricostruendo un vero e proprio girone dantesco, un ambiente lunare, completamente dimenticato dalla civiltà urbana. E' significativa la ricognizione nei pressi della santità fatta nel film, assimilata e diagnosticata dalla società come una forma dissociativo-compulsiva. Un'opera amara, con qualche sbavatura, ma che nonostante ciò espone ed impone, con efficacia, questioni che troppo cadono nell'oblio.