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E' la storia di Alin Dumitru Zdraila, morto a giugno dell'anno scorso a 24 anni, e del fratello Claudio di 22. Massacrato di pugni e calci da un connazionale di trent'anni - morto peraltro due mesi fa per un investimento sulla Cristoforo Colombo - Alin dopo due giorni di coma è diventato donatore di fegato, polmoni, reni e cornee. La madre e il fratello avevano voluto generosamente essere riconoscenti per l'accoglienza dimostrata dal nostro Paese. E in cambio, oltre alla commozione generale, avevano ricevuto la promessa di aiuti concreti: il rientro gratuito delle spoglie di Alin nel paese originario di Tirgu Jiu, a 200 chilometri da Bucarest, e l'attenzione verso le esigenze del fratello minore rimasto in Italia.
Così non è stato e la vicenda, trattata dalla televisione nazionale Antenna 1, è diventata un caso [...]
«La famiglia - riassume Marius Daea, direttore della tivvù - ha ricevuto solo il supporto del Ministero dei Trasporti Romeno ed il nostro aiuto. Ciò nonostante si è indebitata di 3.200 euro. Che fine hanno fatto quelle promesse di collaborazione arrivate dopo la donazione degli organi?».
«Mia madre - racconta il fratello Claudio, muratore all'Infernetto, senza permesso di soggiorno - è vedova e vive della pensione di mio padre che è di 70 euro al mese. E' malata di cuore e non può lavorare. Vive in Romania con mia sorella più piccola e l'unico che provvede a loro sono io».
Claudio, sguardo triste e vestiti sporchi di calce, non sa spiegarsi l'insensibilità dimostrata dalle nostre istituzioni.
«Abbiamo ricevuto l'aiuto morale ma anche economico solo dai carabinieri della caserma di Casalpalocco - prosegue - ma poi è stato tutto difficile. Ci era stato detto anche in ospedale, al San Camillo, che avrebbero fatto trasportare il corpo di Alin a loro spese. E, invece, abbiamo impiegato addirittura tre mesi per riaverlo. [...]»
Otto persone vivono grazie agli organi di Alin. E Claudio, lavoratore onesto che non ha mai avuto a che fare con la giustizia, chiede di poter vivere e mantenere la sua famiglia grazie alla nostra città.
«Capisco che non sarà facile recuperare quella somma - dice - ma chiedo almeno di essere messo in condizione di restare a lavorare qui a Roma. Non posso vivere da clandestino ed avere il terrore di essere rispedito a casa e quindi di perdere la possibilità di pagare i debiti».