La Caduta
(Germania, 2004)
I titoli di coda scorrono accompagnati dalle meste note di un pianoforte mentre il pubblico, insolitamente silenzioso e composto, esce dalla sala. Silenzioso come non mai, a mia memoria.
Mi ha colpito questa immagine, è, credo, indicativa di quanto le tragiche ultime ore di Berlino, ricostruite nel film appena visto, abbiano lasciato il segno negli spettatori.
Colpisce certamente l’assurda follia collettiva che anima gli ultimi sprazzi del Reich distrutto, colpiscono i morti, i feriti, le distruzioni, le urla, l’aria di morte che alleggia nel film. Il puzzo, che pare quasi di sentire. Colpiscono le parole di uomini che rimangono fino all’ultimo aggrappati all’assurdo delle loro convinzioni, nell’assolvimento fanatico di quello che considerano il loro dovere, che è morire, e non, come invece sarebbe umano pensare, vivere.
Al di là delle sensazioni, “La Caduta” segue con rigore documentaristico e con puntigliosità pressoché didattica gli ultimi giorni di Hitler e della sua corte nel bunker della cancelleria e tra le macerie di Berlino. Chi ha letto le opere di Shirer sul Terzo Reich, , di Joachim Fest (La Caduta), di Antony Beevor (Berlino 1945) ritroverà nel film tutto ciò che ha letto o che ha già visto in tanti documentari storici. Fatti, singoli episodi, personaggi, momenti, l’ambiente claustrofobico, caldo e maleodorante del bunker. C’è tutto, visto attraverso gli occhi dell’allora giovanissima Traudl Junge, la segretaria personale di Hitler. Ci sono tutti: Bormann, Goebbels, sua moglie e i suoi sei figli, Eva Braun e il cognato Fegelin che verrà fucilato, Speer, Keitel, Jodl, i generali Weidling e Mohnke, ultimi difensori di Berlino, i generali Krebs e Burgdorf, che si suicideranno nel bunker, Himmler e Goering, che fuggirono da Berlino prima dell’arrivo dei russi, e tutti i collaboratori più stretti del capo, guardie, autisti, infermieri, aiutanti, fino al cane Blondie. Di ciascuno di essi le didascalie finali ci ricorderanno il destino. Ma nel film c’è soprattutto lui, Hitler, reso con incredibile somiglianza e precisa gestualità dal bravo Bruno Ganz. Ci sono i suoi sbalzi d’umore, i terribili scoppi d’ira, le depressioni, le folli congetture, le osservazioni banali, le apparenti tenerezze. In Germania, il regista Wim Wenders si è dissociato dall’immagine di Hitler resa da questo film, lo ha definito troppo umano. Non concordo con Wenders. Non ho visto nulla di umano in quest’uomo ormai senza alcuno scrupolo, senza alcuna remora nell’invocare la distruzione del suo stesso popolo, senza alcuna pietà né rimpianto. Le immagini tragiche dei civili di Berlino e dei suoi ultimi soldati gli danno torto, il film non lascia spazio a dubbi, né credo che i tedeschi stessi, che hanno realizzato il loro primo film su questo dramma della loro storia, possano averne.
Chi conosce la storia vada a vederlo, personalmente l’unica pecca che posso imputare al film sotto il profilo strettamente storico, è che Goebbels è interpretato da un attore troppo alto.
Ma vada a vederlo anche chi vuol rendersi conto di dove possa portare la fede cieca in un’ideologia folle. E ascolti, in fondo al film, le parole della vera Traudl Junge.
Trama:****
Cast:****
Regia:***
Musica:**
Globale:***1/2