Si è chiuso un periodo della mia vita fantastico. Lo porterò con me per il resto dei miei giorni, ne sono sicuro.
Ho avuto modo di conoscere 23 persone eccezionali, un gruppo tanto eterogeneo per varietà di provenienze, di esperienze, di caratteri, di modi di vedere la vita, da diventare quasi come fratelli.
Le cose belle però, si sa, non durano. L'ultimo periodo del master è stato uno dei più tristi della mia vita. Il momento della verità si avvicinava e si sapeva che un terzo di noi sarebbe stato escluso. Aumentava la tensione e la paura di essere tra gli esclusi ma saliva anche la tristezza di sapere che in ogni caso avremmo perso qualcuno. Erano anni che non piangevo tanto. E tirare fuori da me certi sentimenti è dura, molto dura. Chi mi conosce lo sa.
Poi, due giorni fa (il 9 giugno, ad un anno esatto dalla mia laurea) c'è stata la giornata conclusiva, con la consegna degli attestati e le fatidiche nomination, stile G.F..
Ad uno ad uno ci chiamavano nel confessionale per darci l'esito e ad ogni persona che usciva aumentava l'angoscia e ci rendevamo sempre più conto che le cose non dovevano andare in quel modo. Era troppo un massacro psicologico. Ma non poteva essere altrimenti. Io ero il sesto in ordine alfabetico e prima di me ne avevano già scartati due, tra cui il mio compagno di stanza. Per me le cose sono andate bene. Sono stato assunto. Finalmente ho un lavoro degno di tale nome, presso una azienda seria. Nonostante ciò quando sono uscito dal confessionale, non riuscivo ad essere felice, anzi... avevo già le lacrime agli occhi per i due già esclusi e sapevo che dopo di me ne sarebbero stati esclusi altri. Sono rimasto un po' li ad aspettare che ne uscissero altri. Un si, un si, un no, un si, un no. Poi non ce l'ho fatta più. Me ne sono andato. In fondo al parcheggio, a sedere su un muretto che dava su un campo di grano con qualche ulivo. E li ho pianto. Ho pianto come un bambino (tra l'altro, lo sto facendo anche ora, mentre scrivo). Quando pensavo di non avere più lacrime mi sono alzato e me ne stavo tornando dagli altri, ma per strada ho trovato un ragazzo e una ragazza, miei compagni di corso, abbracciati che piangevano. Li sono crollato con loro. E mentre piangevamo assieme mi hanno anche aggiornato sugli ultimi esclusi. Ognuno una pugnalata.
Ero a pezzi. Me ne sono salito in camera e mi sono steso sul letto, cercando di non pensare, cercando di dormire. Ma era inutile. Nella mia testa c'era un branco di criceti che correvano all'impazzata sulla ruota. Allora sono sceso di sotto al bar, a guardare distrattamente un po' di TV, cercando di trovare lo spirito giusto per la sera in discoteca programmata ormai da giorni. Non ci sono riuscito. Ma il tempo è passato e siamo finiti tutti in discoteca a ballare e a sfogarci come pazzi. Mezza pista era nostra e quando il DJ nominava i "ragazzi del master" scoppiava il putiferio! Abbiamo tirato avanti fino alle 5, ce ne siamo andati a fare colazione, pastarella e cappuccino e poi è arrivato l'altro tristissimo momento degli addii. Anche se poi addii non sono, però il clima era quello. E li, altro pianto. Risaliamo in macchina per l'ultima notte (ormai mattina) in albergo. Io e il mio compagno di stanza (uno degli esclusi) entriamo sotto le coperte e spegniamo le luci. Dopo nemmeno un minuto lo sento piangere silenziosamente. Ho il cuore a pezzi. Non so che dire. Arrangio qualcosa, ma dalla sua bocca esce una cosa che non avrei mai immaginato. Una cosa che mi ha fatto ancora più male. La mattina dopo, al momento di lasciare l'albergo ci siamo lasciati con un abbraccio fortissimo, entrambi con gli occhi lucidi, poi ognuno se n'è andato per la sua strada. E mentre viaggiavo in scooter a 120, piangevo.
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